Durante il fine settimana i messaggi degli amici si susseguirono: Emma non era più tornata a casa. Alla domenica Samantha aveva organizzato una «squadra di ricerca», a cui lui preferì non sottrarsi, che batté tutti i luoghi solitamente frequentati dalla ragazza, col solo risultato di non ottenere nessuna informazione. Michael cominciò a pensare che le fosse successo qualcosa per davvero il che, dal suo contorto punto di vista, poteva rivelarsi davvero interessante.
Al lunedì tutta la classe ed alcuni allievi di altri anni e sezioni vennero rimandati a casa con un avviso per i genitori che informava della necessità della polizia di interrogarli sulla questione. Ovviamente, essendo minorenni, era richiesta la loro presenza.
Fu così che, al martedì, Michael consegnò ad una sdegnata professoressa Scully uno scritto di Carol ove veniva autorizzato l’interrogatorio senza di lei. Con mille scuse per gli impegni di lavoro inderogabili. Quando entrò nell’aula il ragazzo non fu stupito di ritrovare Jackson ed O’Maley, Rakete era una città molto piccola e gli effettivi erano contati. Probabilmente Carol aveva fatto il medesimo ragionamento, e da lì la lettera.
Come sempre fu l’uomo a condurre la conversazione:
«Come va Michael?»
Il ragazzo portava la benda sull’occhio, rispose senza un tono particolare:
«Diciamo bene, almeno il dolore è passato (“purtroppo”, avrebbe voluto aggiungere.»
«So che tra un po’ ci sarà il processo…»
«Se ne sta occupando mia madre» rispose fingendosi abbattuto «io preferirei lasciarmi tutto alle spalle.»
«Non provi rancore per tuo padre?» intervenne inaspettatamente O’Maley, beccandosi un’occhiataccia dal collega.
Michael si stupì un po’ della domanda ma stavolta era lucido e pronto, improvvisò:
«Se le dico che non lo so mi crede? Cioè, non che le cose siano mai andate benissimo tra noi ma, è mio padre. Aveva bevuto, non credo che lo volesse fare veramente…»
Era questo che ci si aspettava da un ragazzo «normale», pensò: confusione, sofferenza. Jackson riprese il filo:
«Capisco Michael, però ora l’urgenza è ritrovare la tua compagna. Cosa puoi dirci in merito?»
«Penso di non poter aggiungere niente» rispose «la ho vista con gli altri al bar, ci ha detto che sarebbe ritornata, se ne è andata da sola e non la abbiamo più rivista»
«Però so che eravate amici d’infanzia» incalzò l’uomo.
«Sì certo. Sono molto preoccupato, se posso aiutare in qualche modo mi dica cosa devo fare.»
«Michael, sai se Emma si vedeva con qualcuno? Intendo un ragazzo.»
Aspettava soltanto quella domanda ma preferì fingersi imbarazzato:
«Beh, penso che Samantha ne sappia più di me…»
Abbassò lo sguardo come intimidito.
«La tua amica crede che si vedesse con un ragazzo ma non ha saputo dirmi niente di più.»
«Io non so…»
«Michael» O’Maley aveva un tono più comprensivo ora (era davvero riuscito a recitare bene) «è importante credimi, avere dei nomi potrebbe davvero fare la differenza.»
Il ragazzo si finse remissivo ed imbarazzato:
«Non…» prese fiato «non si vedeva con un ragazzo ma con una ragazza.»
I due agenti rimasero impassibili ma lui colse un lieve sussulto nella donna, continuò:
«Si chiama Annalise Beckam, vive qui a Rakete, non so l’indirizzo. Penso frequenti una scuola fuori città ma non sono sicuro.»
«Come mai pensi che studi fuori?» chiese Jackson
«Qui non c’è nessuno con quel nome e si vedevano solo nel fine settimana.»
«La hai mai vista?»
«No, me ne ha parlato Emma, solo una volta, non so altro, mi spiace.»
O’Maley lo incalzò, era incredibilmente pallida:
«Qualsiasi particolare in più potrebbe essere utile, anche se ti pare insignificante.»
Michael finse di concentrarsi:
«Quando me ne parlò lo fece perché era triste. Mi disse che Annalise sarebbe partita per un lungo viaggio e che le sarebbe mancata. Ma non mi ricordo altro.»
«Quando te ne ha parlato?»
«Due settimane fa, giovedì dopo la scuola.»
Aveva deciso di dire la verità sulla cosa, dopotutto era una falsa pista, ed a lui faceva comodo che i due agenti la seguissero. Vide che avevano abboccato all’amo ed in fondo l’idea era parecchio invitante: un amore inconfessabile perché proibito. Eppure non si sarebbe mai aspettato il seguito di quella conversazione. Vide Jackson girarsi verso O’Maley, forse avrebbe voluto chiederle di uscire ma la donna lo anticipò:
«Sì è mia nipote.»
«Grazie Michael, puoi andare.» si affrettò a dire lui.
«Signore…» iniziò il ragazzo
«Tranquillo» disse O’Maley sempre pallidissima «avrai capito che è coinvolta pure la mia famiglia, saremmo delicatissimi.»
Il ragazzo uscì. La detective si rivolse al collega:
«Mia sorella con Annalise e Benjamin sono in vacanza a Parigi e, prima che tu me lo chieda: sì, Annalise è omosessuale.»
Jackson annuì.
«Puoi rintracciarli?» chiese.
La donna aveva già cominciato ad armeggiare col cellulare.
Michael uscì da scuola abbastanza spiazzato. Aveva pensato che la ricerca di Annalise avrebbe tenuto impegnata la polizia per qualche giorno. Invece la cosa si sarebbe risolta, probabilmente, con un paio di telefonate. Il vantaggio che aveva rimaneva, lui continuava a sapere qualcosa in più, ma il tempo per agire si era sicuramente ridotto. Per fortuna aveva il pomeriggio libero, senza lezioni, e conosceva il bar dove pranzava Jeko.

O’Maley aveva avuto fortuna: era riuscita a parlare direttamente con Annalise. Probabilmente le aveva rovinato la vacanza ma aveva ottenuto le informazioni che le servivano. Jackson la aspettava pazientemente.
«La ho convinta a non parlarne con i genitori» spiegò la donna «la dovrò tenere informata ma era sinceramente preoccupata. Ha ammesso la relazione però non aveva la minima idea sul dove potesse essere Emma né con chi si possa esser trovata quel giorno.»
«Pensi che sia sincera desumo.»
O’Maley fissò il collega: non era una domanda retorica, loro due lavoravano insieme da molti anni e Jackson la aveva sempre accettata per quel che era. La stimava e si fidava di lei. Le stava chiedendo un parere sincero e lo avrebbe accettato. Sospirò e rispose:
«Sì.»
Lui fece un sorriso storto:
«Ok, era l’unica traccia che avevamo e si è rivelata un vicolo cieco. Però rimane il fatto che la ragazza si sia incontrata con qualcuno di cui si fidava.»
«Annalise esclude che Emma avesse avuto altre storie mentre si frequentavano» disse la donna «ma, anche ammettendo che sia vero, potrebbe aver avviato una relazione nell’ultima settimana. Non conosciamo questa Emma e non sappiamo come gestisce i suoi partner.»
«Michael mi è sembrato sincero, non credo che abbia altro da dirci, tu che ne pensi?» chiese Jackson.
«A me quel ragazzo lascia sempre perplessa» rispose la donna «ma, anche stavolta, non è niente di più di una sensazione. Oggettivamente non credo che sappia altro, penso che, appunto, abbia carpito la storia di Annalise durante uno sfogo di Emma…»
«Che c’è?» chiese Jackson, notando il tentennamento della collega.
«Solo un’ipotesi» rispose lei «ma, in effetti, non credo che una ragazza che si disperi così sia poi in grado di tradire.»
«Prendiamola per buona» ragionò l’uomo «tutti i suoi amici erano al bar oppure in luoghi noti. Dalla sicurezza e dalla tranquillità che pare aver dimostrato non credo si sia vista con un estraneo, inoltre tutti concordano sul fatto che era una persona piuttosto introversa. Rimangono solo gli adulti, i genitori delle amiche.»
«Un po’ tirata per i capelli.» osservò lei.
«Sì» ammise il detective «ma al momento è l’unica pista che abbiamo quindi, se non hai altri suggerimenti, io partirei dalla famiglia di Samantha Brennan.»

Inside 2

Barbara Brennan stava guardando sconsolata la borsa della palestra quando suonò il campanello. Aprì la porta e si ritrovò davanti un ragazzo allampanato, con i capelli neri ed una benda bianca su un occhio.
«Buonasera signora Brennan, sono Michael un compagno di classe di Samantha, mi chiedevo se potevo parlarci un attimo.»
«Ma certo» rispose la donna, riconoscendolo «te la chiamo subito, è molto turbata per la sua amica.»
«Lo siamo tutti.» rispose mesto il ragazzo.
Samantha lo accolse relativamente bene, lo invitò a salire in camera sua. Nei ricordi del Michael originale l’essere pescò una camera immaginaria degna di Lady Gaga. Sarebbe rimasto assai deluso se avesse visto l’incubo color pastello che era in realtà. Il ragazzo, comunque si accomodò su una sedia a ruote mentre l’amica si sedette su un letto che sembrava pescato dalla camera di Barbie.
«Sei preoccupato pure tu?» gli chiese lei.
«Già, è il motivo per cui sono qui, scusami se ti disturbo Samantha.»
«Figurati» la ragazza era prossima alle lacrime «tu la hai sempre amata, lo so.»
«Questa è davvero un genio!» si ritrovò a pensare l’essere. Michael aveva passato gli ultimi anni a sbavarle dietro (e se ne sarebbe accorto anche un cieco) e lei era convinta che amasse l’amica.
(Michael… Chissà che fine avrà fatto? A quest’ora, se non ha avuto incidenti, dovrebbe essere prossimo alla morte: quel corpo non avrebbe potuto vivere a lungo…)
«…non sai quanto mi manchi, non sapevo con chi sfogarmi e mi sento sola.» il monologo di Samantha lo riportò alla realtà.
Lacrime stavano colandole sul volto. Per un attimo ebbe l’impulso di sederle vicino ma pensò fosse meglio non creare intimità. Si alzò e le posò una mano sul palmo, accovacciandosi di fronte a le.
«Ascolta Samantha» le disse «devo farti una domanda importante, scusami.»
La ragazza parve perplessa:
«Cosa c’è?» chiese.
«Quel video che Emma mi ha mostrato, lo ha visto qualcun altro?»
Lei si irrigidì, lui ritrasse la mano. Era diventata di colpo rossa e lo stava fulminando con lo sguardo. Poi sembrò capire:
«Oh… Tu credi che qualcuno la abbia… presa?»
«Non so» rispose Michael «siete bellissime e quel video era molto provocante. Se lo avesse visto un estraneo…»
«Io non lo ho mostrato a nessuno e ho molto criticato Emma per avertelo fatto guardare. Magari, però, al suo ragazzo ha mostrato quello in cui era sola.»
«Ce n’era più di uno?» chiese lui.
«Uno in coppia girato con il treppiedi ed due singoli girati a vicenda. Michael, noi… insomma volevamo provare come ci si sentiva. Non è che lo facessimo tutti i giorni.»
Le guance della ragazza erano rosso fiamma ma continuò:
«Non so con chi si vedeva Emma, cioè capisci? Non lo ha detto nemmeno a me! La sua migliore amica! Magari era un poco di buono.»
Michael finse di riflettere sulla cosa. La ragazza aveva detto «treppiede» e lui aveva notato una videocamera professionale montata su un cavalletto a lato di un tavolino su cui stava un IMac spento. Samantha giocava spesso a fare la modella su Instagram ed evidentemente si era dotata di un’attrezzatura professionale, forse del padre. Però questo voleva dire che il video era passato, probabilmente, per il computer prima di finire sugli smartphone delle amiche.
Alzò gli occhi:
«Un vicolo cieco» mentì «Potrebbe benissimo essere stato il suo ragazzo. Ma se non sappiamo chi è…»
«E se fosse un violento?» disse Samantha «Tony Hill è finito in prigione per droga!»
Era un suggerimento assurdo: Antony Hill aveva i denti storti ed una faccia talmente coperta di brufoli da sembrare una palla da basket. Era il momento di cambiare discorso, in questo venne in aiuto la madre della ragazza che li interruppe per annunciare che andava un’oretta in palestra. Nel frattempo Michael aveva notato un particolare interessante.
«Lì dove eravate?» chiese, fingendo noncuranza, indicando una foto incorniciata al muro. Le due amiche, in maglietta e pantaloncini, si abbracciavano su quello che sembrava un pontile.
«Ah lì? Eravamo nel mio cottage sul lago Moore, la scorsa estate.»
«Non sapevo che avessi una casa sul lago» disse lui.
«Nulla di incredibile, è un vecchio edificio “anni settanta“, era dei miei nonni. Sai quelle cose tristissime con muri di calcestruzzo, tetto piatto e tapparelle verdi? Però il posto è stupendo.»
Michael stava elaborando il tutto. Spostò l’argomento ancora due o tre volte lasciando che Samantha si sfogasse; lasciò passare un po’ di tempo e poi disse:
«Pian piano sta diventando ora di andarsene, mi lasci usare il bagno per favore?»
«Oh, certo» rispose l’amica «scendi le scale e prosegui lungo il corridoio.»
Il ragazzo seguì l’indicazione ma quando si trovò nel corridoio deviò verso l’entrata, dove lo aveva accolto la madre di Samantha. Appese al muro in bell’ordine c’erano alcune chiavi. Si avvicinò avevano tutte un’etichetta di plastica con un cartellino, evidentemente chiavi di scorta. Sulla seconda, nel primo piolo, spiccava la scritta «COTTAGE» in bella calligrafia. Sfilò le prime due chiavi e rimise a posto quella che non gli serviva. Stava intascando la seconda quando la porta si spalancò.
Per fortuna l’uomo aveva lo sguardo basso ed assorto, Michael intascò in fretta la chiave, poi gli si rivolse:
«Buongiorno signor Brennan!»
L’uomo quasi sobbalzò.
«Sono Michael, un compagno di Samantha, non so se si ricorda di me…»
In quel momento l’amica gli giunse in soccorso scendendo le scale.
«Papà, oggi sei tornato presto.» disse felice.
L’uomo sembrò ridestarsi:
«Oh, salve ragazzi.» disse.
Poi, rivolgendosi Michael:
«Ciao. Scusami, stavo rimuginando su un problema e quando ho un tarlo in testa mi estraneo. Stavate studiando insieme?»
«No papà» spiegò la ragazza «ci siamo trovati per parlare di Emma.»
«Oh è vero» l’uomo si rattristò «ci sono notizie?»
«Purtroppo nulla.»
«Immagino che per voi sia un brutto momento. Fate bene a star vicini l’uno con l’altro.»
«Comunque è ora che io vada» intervenne Michael «anche mia madre starà tornando a casa dal lavoro ed è meglio che mi faccia trovare.»
«Sempre apprensiva Carol.» disse l’uomo, e poi, sorridendo:
«Abbiamo fatto il liceo assieme.»
Il ragazzo si chiese se davvero Carol fosse mai stata apprensiva per qualcun altro, poi considerò che pure le scenate di gelosia che la donna dispensava con generosità potessero essere considerate «apprensione». Magari ai tempi del liceo il padre di Samantha ne aveva subita qualcuna. Trattenne un sorriso, salutò educatamente e si avviò verso casa.
La Ford si fermò nel parcheggio della Cardiotech, Jackson ed O’Maley scesero e studiarono la facciata, l’edificio sembrava nuovo, imbiancato di fresco, elegante ed addolcito da alcune aiuole. Il logo, in un carattere squadrato, spiccava discreto su un’insegna di medie dimensioni sopra l’ingresso.
Rakete ospitava molte aziende, tutte di piccole dimensioni. Tra queste la Cardiotech, con i suoi ottanta dipendenti, era una delle maggiori. La ditta produceva attrezzature ospedaliere ad alta tecnologia.
«Sicuro che sentire il padre senza la figlia presente abbia senso?» chiese O’Maley
«Lasciami le mie intuizioni da vecchio.» sorrise l’uomo «la madre era chiaramente estranea non solo alla vicenda ma pure alla vita della figlia, e la ragazza era… come dire “superficiale”?»
«Un’oca.» sentenziò la detective.
Jackson sorrise:
«Appunto. Spero che il padre sia un po’ più presente.»
«Speriamo» concordò la donna «certo che essere il titolare di una ditta del genere non deve lasciar molto tempo per seguir la famiglia»
«C’è un solo modo per scoprirlo»
La coppia varcò la soglia.
Dietro un’elegante scrivania nella reception c’era una segretaria. Una bella donna sui trent’anni con occhiali dalla montatura larga e dei capelli di un castano decisamente innaturale.
«Buongiorno» disse con un sorriso «come posso aiutarvi?»
«Abbiamo bisogno di vedere il signor Thomas Brennan.» tagliò corto Jackson.
«Oh» si stupì lei «avevate un appuntamento?»
«Temo di no» disse il detective mostrandole il distintivo «ma può rassicurarlo: non ci vorrà molto.»
«Il problema» rispose la segretaria imbarazzata «è che il signor Brennan è in ferie da due settimane e non tornerà prima di sabato prossimo.»
I due poliziotti si fissarono.
«Posso provare a contattarlo al cellulare se volete.» disse l’impiegata.
«No, lasci perdere» rispose l’uomo «erano alcune domande di routine visto che è il padre della migliore amica della ragazza scomparsa. Niente di fondamentale e non credo occorra rovinargli le vacanze. Sia solo così gentile da lasciarci il numero di telefono del signore nel caso la situazione cambiasse.»
La coppia uscì dall’edificio.
«Il signor Brennan è in ferie da due settimane e né sua moglie né sua figlia lo sanno.» disse Jackson.
«Questo implica che tutte le mattine esca e che alla sera rientri.» aggiunse O’Maley «Modus Operandi alquanto strano, anche se avesse un’amante»
«Andiamo a casa della ragazza.» disse l’uomo aprendo la Ford.

Michael si stiracchiò scendendo dall’autobus nella piazza del piccolo paese di Middlecoast sulle rive del lago Moore. Era stata una levataccia, aveva lasciato a Carol un biglietto ove diceva che si sarebbe recato a scuola in anticipo per ripassare una lezione con Jeko. L’originale non aveva mai fatto nulla del genere ma, conoscendo ormai la madre, non credeva che si sarebbe particolarmente preoccupata. Se tutto fosse andato bene se la sarebbe cavata col falsificare una giustificazione il giorno dopo.
Mentre si avviava verso il cottage di Samantha ripensò, appunto, a Jeko: suo padre lavorava alla Cardiotech e, durante la loro conversazione del giorno prima, era riuscito ad apprendere che il padre dell’amica era in ferie. La pista che cercava.
Impiegò quasi venti minuti per raggiungere l’edificio. Come aveva detto Samantha era un casotto con trent’anni sulle spalle, ben tenuto ma decisamente vintage. Aveva calcolato di avere ancora due ore scarse prima dell’arrivo del signor Brennan, se la sua idea era giusta. Sfilò dallo zaino un paio di guanti in lattice neri e li infilò, aprì la porta con la chiave ed ebbe la cura di lasciare le scarpe fuori. Indossava un paio di calzini grossi, in modo da non lasciare impronte. Appena entrato usò la funzione «torcia» del telefono. Un lievissimo mugolio lo guidò al piano di sopra. La scena era più o meno come se l’era aspettata.
Emma era legata ad un letto singolo col telaio di ferro. Erano state usate quattro paia si manette per tenerla con braccia e gambe allargate. era nuda ad eccezione di un paio di autoreggenti nere come quelle nel video, smagliate in più punti. La bocca era chiusa da un morso di gomma.
Al centro del letto era stato praticato un foro nel materasso, evidentemente per consentirle di evacuare. Il ragazzo immaginò che sotto ci fosse un contenitore, svuotato regolarmente, visto che non avvertiva odori pungenti. Comunque i lividi attorno ai polsi suggerivano che la ragazza non fosse stata slegata molto spesso. Le tolse il morso.
«Mich…» provò a dire lei.
La voce era roca, poco più di un sussurro. Era sotto shock e decisamente disidratata.
«A…cqua…» riuscì a sillabare.
L’essere non le diede retta, la fissò per un po’ in silenzio godendosi le emozioni. Poi disse, parlando più a sé stesso che a lei:
«Nemmeno nei suoi sogni più bagnati Michael avrebbe immaginato una situazione più eroica di questa.» la fissò «In un certo senso pure io sono felicissimo.»
Sorrise. Le rimise delicatamente il morso mentre lei sbarrava gli occhi. Scese al piano di sotto ed, in poco tempo, trovò quello che gli serviva: il padre di Samantha aveva un fornitissimo angolo con materiale per la pesca. Una fortuna inaspettata.
Poche ore dopo Thomas Brennan parcheggiò la macchina vicino al cottage, come faceva ormai da cinque giorni. Durante il viaggio i soliti dubbi lo avevano tormentato: non che fosse pentito ma sapeva che doveva finire in qualche modo. Però non aveva né in coraggio di uccidere la ragazzina né (soprattutto) la voglia di privarsene. Tuttavia l’estate incombeva: Barbara avrebbe voluto venire al cottage. Comunque, come al solito, pregustando il piacere cacciò via ogni altro pensiero.

«Corri al piano di sopra» disse Jackson. Erano ormai passate più di tre ore da quando Thomas Brennan era arrivato al Cottage. Avevano fatto irruzione con quattro agenti in divisa come supporto.
O’Maley lo aveva anticipato ed era già a metà scala.
Il detective stava fissando l’uomo accasciato a terra, pareva incapace di pronunciare una sola parola sensata.
«Era lei che… Il mio avvocato… non avrebbero dovuto… Non sono stato io… volevo…» biascicava. Era coperto di sangue, troppo sangue.
Fu il grido strozzato della collega che fece precipitare Jackson su per le scale. Aveva visto solo un paio di omicidi nella sua carriera ma, quando era un agente in divisa, aveva presenziato sui luoghi di numerosi incidenti e visto cadaveri dilaniati. Più di quanti avesse voluto.
Eppure stavolta trattenne a stento un conato. O’Maley non era stata altrettanto brava.
Il corpo di Emma Thompson era stato trafitto e dilaniato. Letteralmente scarnificato utilizzando, sembrava, arnesi da pesca e da cucina. Il sangue tingeva tutto…

inside 3

Ti sei perso il secondo capitolo? lo trovi qui.

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