Torna anche il 3D, questa volta in un panorama cinematografico che sembra aver definitivamente rinunciato alla terza dimensione. Una rarità i registi che ancora girano con camere “native” mentre sono la norma le case di produzione che scelgono di convertire in 3D le pellicole dopo la fine delle riprese. E questo elemento è secondo me fondamentale per giudicare il lavoro di Cameron. Diciamoci la verità, se non ci fosse stato il 3D Avatar probabilmente avrebbe di poco superato il miliardo di incassi assestandosi si, tra i successi dell’anno, ma per poi finire nell’affollato mondo della top 50 dei film più amati al botteghino. Attenzione non voglio sminuire l’opera di Cameron che rimane tecnicamente ineccepibile e ancora molto attuale (la CGI regge benissimo) ma trovo ci sia una strana distorsione intorno al primo capitolo di questo film e i 12 anni che ci sono voluti per riportarlo al cinema sembrano confermare i miei dubbi: Avatar è sparito dai radar dopo poco più di 3 anni dalla sua uscita, un po’ per la difficoltà di ripetere l’esperienza cinematografica 3D in ambito casalingo, un po’ perché il carisma dei suoi personaggi non ha mai davvero sfondato il muro della pop culture. La regia di Cameron in questo secondo capitolo è solida. Certe volte si tende a scordarlo, ma un film del genere è un’opera mastodontica, con scene d’azione incredibilmente complesse e spettacolari che solo un maestro del cinema può portare a casa senza sbavature. In questo secondo capitolo il regista sembra ritrovare il suo forte legame con l’acqua con scene che sembrano proprio omaggiare pellicole come Titanic o The Abyss. Per quanto si voglia bene ai vecchi personaggi di Avatar, si fa fatica a costruire nuovi affetti con i giovani, i teenager, che sembrano esistere più come base dei nuovi capitoli in uscita che per costruire una solida narrazione drammatica. La natura rimane, come nel primo capitolo, un personaggio imprescindibile di Avatar 2: la sua sofferenza è pari a quella dei protagonisti, e il rapporto che li lega, a tratti commovente, rimane centrale nel racconto.