Sotto l’albero di Natale, a raccogliere le briciole lasciate da Frozen 2 e Star Wars IX, troverete “Spie sotto Copertura”, il nuovo prodotto della Blue Sky (quelli de “L’era glaciale”) dedicato al pubblico più giovane. Non troppo giovane direi, dai 9 ai 15 anni che, tradotto nella realtà, diventa dai 9 ai 99 anni, ma non provate ad andarci con un* ragazz*, per uscite di quel tipo rimane più indicato Pinocchio, Cena con delitto o i primi due citati in questo pezzo.

Che dire della pellicola a cui Will Smith e Tom Holland han prestato una voce di cui, nella visione in italiano, non godrete? Per quanto la tipologia di film si presti poco ad avventure particolarmente originali, possiamo certamente affermare che ci troviamo davanti ad un lavoro che supera le attese e che è in grado di sorvolare sui due idealtipi più battuti dagli ultimi 20 anni di Hollywood, gli agenti segreti ed i supereroi (tipi che a dire il vero spesso coincidono, come in questo film) ed offrire a questi una versione a tratti desacralizzante. A tratti ovviamente no, ma non ci aspettavamo questo da un lavoro che punta a quel target di mercato.

Gli agenti segreti in versione supereroe (o i supereroi in versione agente segreto, se volete) a cui siamo abituati trovano in Lance Sterling, il coprotagonista della pellicola, una versione fedele e portata alle estreme conseguenze. L’animazione poi è quel tipo di linguaggio che ben si presta a rendere tutto incredibilmente esagerato. Tutto secondo i piani fino al primo classico colpo di scena che ci porta alla fine dell’introduzione ed all’inizio dello sviluppo in cui il buon Sterling (molto abile ma molto stronzo, difetto che fa da spina dorsale al film e lo conduce in conclusione ad essere meno stronzo) viene messo sotto accusa dalla sua stessa agenzia, di cui è, ca va sans dire, il migliore dei migliori. A questo punto inizia l’interazione col giovane Beckett e da lì la trasformazione del supereroe, da cacciatore a preda, da maschio alfa a piccione. Un vero e proprio piccione, un vero e proprio ridimensionamento del suo ego che fa il paio con l’ultima tendenza (soprattutto nel campo delle serie TV) per cui il supereroe viene messo in discussione, non è più un intoccabile, troppo forte e troppo popolare, ma è un personaggio le cui azioni comportano delle conseguenze, non sempre positive. Conseguenze che nemmeno gli accordi di Sokovia possono nascondere. Spie sotto copertura utilizza il codice della commedia per portare avanti questo tipo di operazione, ben riuscita ma evidentemente non intenzionata ad andare fino in fondo. Dai muscoli ai buoni sentimenti, questo è lo sviluppo drammatico di un film per bambini, come questo, che si presta però ad essere apprezzato dai non più bambini per la capacità di inserire a questo che è uno dei più classici sviluppi del sottogenere la riflessione sopracitata.

Al tema va dedicato uno spazio che possa darvi una lettura più approfondita ma va sottolineato come l’industria, su evidente impulso di una parte del pubblico ormai saturo di superuomini riflesso dell’idea di uomo forte e risolutore, abbia definitivamente inserito nel flusso continuo audiovisivo il filone della critica al supereroe. Ricordate ne “Gli incredibili 2” come la cattiva di turno attraverso una riflessione condivisibile contestava l’impatto dei supereroi nella società da lei vissuta? Bene, quel tipo di approccio ora è slittato dal campo dei cattivi a quello dei buoni (più spesso meno cattivi in realtà), con conseguente rinfrescata di plot oramai attorcigliati sull’eterna ripetizione minimamente differente. A questo va introdotto il versante più politico industriale del tema, con la Disney Marvel da un lato ed il resto del mondo dall’altro in posizione di attacco nei confronti degli Avengers, che pure con Captain America e Civil War avevano inserito la questione morale dell’assenza di limiti per i super e che, nonostante la connotazione umanizzata di molti dei propri supereroi, mostrano ai botteghini una versione fuori portata dei propri prodotti tale da creare una reazione dei competitori che inevitabilmente poggia su un cambio di registro, per evitare “versioni dei poveri” di quanto prodotto dalla casa delle idee.