Ai don uonna bi beri in a pet semeteri, ai don uonna liv mai laif aghein

Arriva nelle nostre sale la nuova trasposizione cinematografica di Pet Sematary uno dei romanzi più spaventosi di Stephen King che già aveva avuto un felice passaggio in pellicola nel 1989 grazie  a Mary Lambert.

Torna ora con una versione che prova a rileggere l’opera di King in maniera molto meno fedele del film della Lambert che per lunghi tratti era quasi una copia carbone del romanzo, cercando di renderlo appetibile al pubblico del 2019 ma senza riuscirci a pieno fallendo nel riportare su schermo quelli che erano i tempi centrali del libro: la paura della morte e la difficoltà del distacco da chi si ama.

Ma prima di analizzare il rapporto film romanzo, che comunque conta fino ad un certo punto, parliamo del film in sè. Premetto però in anticipo che io sono un fifone a livelli galattici e quindi sono molto poco affidabile nel dire se un film sia o meno spaventoso. Io con questo Pet Sematary ho avuto un sacco paura, ma le altre persone in sala non sembravano molto spaventate, quindi boh.

Comunque il film in sé sta su abbastanza bene, la bilancia tra inquietudine e momenti di spavento vero (comunque quasi solo jump scare) rimane equilibrata, è però molto anonimo e le variazioni dal romanzo non sembrano derivare da una volontà di rileggere il tema del libro per parlare d’altro (come ad esempio fece Kubrick prendendo una storia di fantasmi trasformandola in uno psico dramma familiare) ma più dal volersi inserire nella tendenza sempre più dominante dello stupire lo spettatore a tutti i costi: come si fa a stupire chi conosce già la storia? la si cambia per inserire un momento sorpresa anche a chi conoscerebbe già la storia, come a volere evitare a chi ha letto il libro di spoilerarsi il film.

Questo tipo di trasposizione però in realtà (e ora iniziamo a parlare del rapporto con il libro) non fa che impoverire il film stesso perchè non aggiunge nuovi livelli di lettura all’opera originale, non la reinterpreta sotto una nuova luce e nemmeno riesce a trovare nuove vie per approcciarsi al tema centrale della storia, ma appiattisce tutto a una narrazione vuota che una volta finito il film non lascia nulla.

Non sono per niente un fanatico della fedeltà assoluta e obbligata all’opera di partenza, penso che quando si adatta un libro, un fumetto o comunque si faccia un passaggio di una storia da un medium ad un altro, oltre ai cambiamenti obbligati dati dal cambio di medium, si debba avere come risultato finale una rilettura personale dell’opera di partenza, a partire da un’interiorizzazione di quelli che sono i temi centrali dell’opera e che vanno al di là della trama che è sempre solo un pretesto, da parte di chi porta l’opera sullo schermo.

Pet Sematary (romanzo) è una riflessione molto interessante sulla paura di morire e di perdere le persone che ci sono care fatta attraverso una storia dell’orrore Pet Sematary (film del 2019) è un involucro vuoto che racconta una storia dell’orrore  che non porta da nessuna parte.

Insomma una trasposizione che non aggiunge nulla all’opera di partenza ma che, anzi, in qualche modo la impoverisce e che quindi non potrà soddisfare i fan del romanzo mentre chi non conosce la storia se anche uscisse spaventato difficilmente resterà sufficientemente soddisfatto e si dimenticherà del film poco dopo aver lasciato la sala. E questa, per qualsiasi opera, è una cosa ben peggiore dell’essere brutta o non riuscita.

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