Ci sono film per i quali non basterebbe un libro per descriverne la magnificenza, figurarsi le mie solite poche centinaia di parole. È questo il pensiero che ho avuto dopo aver visto Phantom Thread (Il Filo Nascosto qui da noi in Italia)
Come posso rendere giustizia a questo film straordinario con le mie povere parole senza senso?
Perché la nuova pellicola (sì pellicola, 35 mm, non digitale) di Paul Thomas Anderson è davvero qualcosa di straordinario, qualcosa di gigantesco. Nella mia vita ho guardato tanti, tantissimi film, ne ho visti di belli, di brutti, di mediocri, alcuni bellissimi, alcuni così così; ci sono film per cui ho pianto, per cui ho riso, per cui mi sono arrabbiato, film che mi hanno ferito altri che mi hanno guarito, poi ci sono film, pochissimi, si contano sulle dita di una mano che sono talmente grandi che Jules Winnfield ci direbbe che non possono nemmeno stare insieme agli altri film, che non sono nemmeno nello stesso campionato, non fanno nemmeno parte dello stesso sport. Film di fronte ai quali bisognerebbe genuflettersi in segno di devozione. Phantom Thread fa parte di questa schiera di eletti. Non è il primo film della filmografia di PTA ad entrare nel club sintomo che siamo di fronte a un regista straordinario.
Il Filo Nascosto è un film che sfugge ogni definizione se non quella di capolavoro assoluto, sfugge i generi, sfugge ogni gabbia in cui lo si potrebbe rinchiuderlo, è un film romantico fino quasi a toccare il melò ma allo stesso tempo è un thriller, è un giallo, è un dramma senza tempo, è uno sfacciato tributo a Hitchcock, soprattuto a quello di Rebecca-La prima moglie, ma anche a La finestra sul cortile e Vertigo.
Paul Thomas Anderson trasfigura magicamente le immagini in qualcosa d’altro da quello che appaiono, in un continuo vortice di suggestioni, un continuo andare e tornare dall’onirico al sensibile, in questo mondo fuori dal tempo e da ogni logica, fissato solo nella finzione filmica creata con cura maniacale sfiorando la perfezione.
Ma parliamo del film, concretamente dopo questi deliri devozionali.
Siamo negli anni ’50 a Londra, Reynolds Woodcock (Daniel Day-Lewis) è il sarto migliore del mondo, insieme alla sorella Cyril (Lesley Manville) gestisce una casa di moda che veste regine, principesse, debuttanti ed ereditiere, fornendo loro abiti da sogno abiti superiori a chi li indossa e che vanno trattati con rispetto, abiti da sposa che possono essere definiti “L’unico abito da sposa mai realizzato“. Reynolds è lo scapolo più agognato di Londra, ma nel suo cuore non c’è posto che per la madre, presenza fantasma che non riesce a lasciare andare e per il suo lavoro che pratica maniacalmente dalle quattro di mattina a mezzanotte, instancabile e inafferrabile da quelle modelle che vengono facilmente liquidate non appena cercano di diventare qualcosa di più che dei manichini. Tutto questo fino all’incontro con Alma (Vicky Krieps) cameriera in cui Reynolds intravede un portamento che lei non pensava di possedere e che per lui diventa una modella instancabileiche può stare in piedi all’infinito. Alma scombussola la vita di Reynolds innescando un vortice amoroso di possesso, rabbia, violenza che sconquasseranno per sempre la vita dello stilista.
Questa la sinossi di Phantom Thread, ma le mie parole non riescono a rendere la straordinarietà di questa storia d’amore, di questa lotta che si trascina dal primo all’ultimo minuto sospinta se non trascinata dal meraviglioso score di Jonny Greenwood e suonata dalla Royal Philharmonic Orchestra di Londra.
Inarrivabili le performance del cast, su tutte, irraggiungibile, monumentale, commovente quella di Daniel Day-Lewis, la sua ultima a quanto dice e se davvero fosse così sarebbe un pensionamento ineguagliabile. Non ho davvero parole per parlare della grandezza di questo attore e di questa performance, ho le lacrime agli occhi solo a pensarci.
Concludo, perché tanto non riesco a scriverne, da noi arriva in sala il 22 febbraio, se non l’avete capito dovete assolutamente andare al cinema a vederlo, in originale se riuscite perché è un delitto capitale vedere Day-Lewis doppiato, ma andate a vederlo, è un film raro che non si può perdere.
Il 4 marzo si presenterà agli Oscar con 6 nomination e probabilmente farà fatica a portare a casa una statuetta se va bene, perché è un mondo ingiusto e non si combattono le grandi battaglie di Hollywood con i capolavori, se fosse un mondo giusto la serata degli Oscar durerebbe 5 minuti con Jimmy Kimmel che entra sul palco con una cariola piena di statuette chiama Paul Thomas Anderson e gli dice di distribuirle ai suoi.
Purtroppo però il mondo non è un bel posto ma grazie a Dio c’è chi lo allieta con certi film.
Grazie Paul Thomas Anderson, Grazie Daniel Day-Lewis, mi inginocchio, devoto.