Gli alieni sbarcano sulla terra, 12 navi compaiono in altrettanti punti del pianeta e rimangono lì sospese. I governi di tutte le nazioni non capiscono come gestire la cosa, la gente è piena di paura e anche i capi di stato sono sospesi tra una sorta di xenofobia e la curiosità di conoscere il perchè di questo arrivo. Il governo degli Stati Uniti incarica per iniziare il contatto la nota linguista Louise Banks (Amy Adams) e il fisico Ian Donnelly (Jeremy Renner).

Amy Adams e Jeremy Renner in una scena del film

Villeneuve fa le prove con la fantascienza prima di Blade Runner prendendo a piene mani dalla tradizione di questo ricco genere ma facendolo proprio e creando un film originale che spicca in quella che ormai era un’atmosfera un po’ stagnante di prodotti tutti uguali.

In Arrival infatti il regista canadese usa l’ambientazione e il genere fantascientifico come un pretesto per portare avanti il discorso del rapporto con l’altro, motivo e filo conduttore di molti suoi film penso all’ultimo suo film canadese La donna che canta ma anche a Prisoners o a Enemy.

Discorso quanto mai attuale in un periodo di migrazioni, di spostamenti, di tensione politica e sociale. L’incomunicabilità, la non conoscenza sono varchi sulla paura, il diverso fa paura, gli alieni fanno paura a chi non li vede, a chi non li sente, a chi non li vuole capire ma ha già deciso che sicuramente sono qui per distruggere.

Louise vuole conoscere, vuole apprendere il loro linguaggio, vuole comunicare e capire che è l’unico modo di per superare la paura. il linguaggio è potere e al centro del film la chiave di volta per capire lo snodo più fantascientifico e non rischiare il paradosso e l’errore compiuto da Nolan in Interstellar è la teoria linguistica per cui se ci si immerge completamente in una lingua il cervello si riprogramma e si acquisisce non solo una nuova capacità comunicativa ma anche un nuovo modo di pensare e vedere il reale.

Villeneuve non fa un’operazione di celholunghismo come era stata quella di Nolan e non sbaglia, usa le sue grandi doti per servirci un film solido e che riesce, anche se devo  dire per un soffio, ad evitare la soluzione facile, paradossale e moralistica del suo illustre collega. Il regista canadese è forse uno dei più grandi intrattenitori in circolazione, l’attenzione dello spettatore è completamente catturata dalla storia e dalla tensione che la sua regia come in tutti i suoi film trasmette, non ci si può distrarre, si è completamente tesi e immersi e questo è una nota comune di tutti i film di Villeneuve.

Denis Villeneuve e Jeremy Renner sul set

Certo il merito non è tutto suo ma anche del grande cast messo insieme per questo film, soprattutto Amy Adams che dà l’ennesima prova del suo grande talento con un’interpretazione forte, decisa e sentita, in secondo piano ma spalle veramente di lusso Forest Whitaker e Jeremy Renner, solidi e sul pezzo sostengono la performance della Adams facendola spiccare.

Arrival si dimostra quindi un ottimo film di fantascienza, e Villeneuve coglie la grande occasione di avere pieno il completo controllo datogli dalla Warner sul montaggio finale (privilegio per pochissimi e attestato di stima) sfruttando al massimo le possibilità paradigmatiche di questo genere per veicolare un messaggio chiaro e forte di apertura all’altro, allo sconosciuto, al non avere paura e un invito a conoscere perché è nell’ignoranza che si genera il male, la lotta e ogni tipo di divisione.

Insomma esame passato a pieni voti per il regista canadese che quest’autunno tornerà sullo schermo con quella che sarà veramente la prova del nove della sua carriera: Blade Runner 2049.

Io sono fiducioso e voi?