Quando siamo usciti dalla proiezione di Rogue One siamo rimasti tutti esterrefatti. Gareth Edwards era riuscito in qualche modo a fare un nuovo film della saga di Star Wars dal sapore nostalgico ma ineccepibile nello stile e nella messa in scena. Regista in grado di raccontare mondi (e mostri) partendo dalle piccole storie (e nel caso di Monster mostrandoci poco e niente dei mostri del titolo, ma non per questo diminuendo il valore della pellicola) si presenta nel 2023 con un nuovo progetto che sembra fatto apposta per i tempi che stiamo vivendo invasi come siamo da ChatGPT e AI di ogni forma e dimensione: The Creator.
Il film di Gareth Edwards crea un’aspettativa altissima: raccontarci una futura guerra con la AI, dove però quest’ultima è vittima, non carnefice, inseguita, cacciata, come un perseguitato politico, mentre l’uomo (gli USA nel particolare) si trasforma in un essere senz’anima, con l’unico intento di uccidere ed eliminare una forma di vita (seppur artificiale) che vede come ostile.
Fin qui nulla di nuovo sotto il sole, abituati come siamo a 30 anni di Terminator, Skynet e quant’altro, senza contare le decine di video che vediamo ogni giorno in cui cani robot vengono maltrattati e presi a calci per testare le loro abilità. Ma la ripetizione, la replicazione di un argomento, non vuol dire per forza che il film non abbia un’idea propria. L’identità del film c’è, principalmente visiva, dove Edwards eccelle, con le sue tante citazioni (Blade Runner, ma ce ne sono tante), ma quando si va più in profondità, quando ci avviciniamo alla storia e ai suoi personaggi l’immagine diventa più sfocata, imperfetta, a tratti superficiale.
The Creator è un film mastodontico, un’opera spettacolare quanto vuota. Un simulacro di un mondo di finzione curato nei minimi dettagli, nel quale però le emozioni, l’immedesimazione nei personaggi, è completamente assente. Il regista spiega a capitoli l’evolversi degli eventi dimenticando il mantra cinematografico per eccellenza “Don’t Tell, Show”, non dirmelo, fammelo vedere. Invece Edwards porta la storia avanti a stazioni, dove si ferma, spiega quello che è successo prima, inserisce degli elementi celati allo spettatori e poi porta avanti il racconto. Il risultato è un senso di distacco che permane per tutta la durata del film (2h15), con lo spettatore che una volta capita l’antifona (tanto mi spieghi dopo cosa succede) sprofonda nella poltrona in attesa della stazione successiva. I momenti topici, quelli dove l’emozione dovrebbe esplodere in qualche lacrima si trasformano in trucchi emotivi che ti lasciano anche con la spiacevole sensazione di esserti inaridito (dovrei emozionarmi qui, perché non ci riesco?).
Quindi è tutto male? La risposta è ni: come ho detto sopra il film è visivamente incredibile, una boccata d’aria fresca nel marasma di CGI e VFX di basso livello che spesso si vedono nei blockbuster. Eppure l’estetica non è tutto, e la qualità visiva non riesce a sopperire a tutte le mancanze di cui sopra. Manca anche una reale riflessione sulla AI, ad oggi non più pura Science Fiction, ma terreno liminale della scienza e presente (in una forma primordiale, vedi ChatGPT) nella nostra vita di tutti i giorni. Insomma non siamo negli anni 50, dove potevi inventare lo spazio e quant’altro perché “tanto non esiste”. Quando ti approcci ad argomenti così attuali (mai come in questo momento) serve uno sforzo in più di attualizzazione. Edwards invece sceglie la finzione pura, dove le AI combattono gli uomini con fucili e AK47 come fossero guerriglieri di una qualsiasi guerra del passato (e peraltro come mi faceva notare un amico “com’è possibile che una AI sbaglia mira?). E’ una scelta, non si discute, ma forse un po’ troppo nostalgica e retrò.
Parentesi sul tono e i cattivi del film. C’è una strana distonia tra l’inizio e la fine del film. Quando siamo nelle prime fasi dell’avventura i cattivi (gli umani, americani) sembrano incredibilmente impreparati nelle loro missioni, quasi ridicoli nella loro ingenuità. Ma questo cambia radicalmente quando si trovano superstiti dietro le linee nemiche. Allo stesso modo Edwards introduce un tono ironico a tratti comico che però svanisce completamente con il procedere degli eventi (che ci sta, vista la drammaticità), ma che tradisce un po’ i presupposti iniziali, se si sceglie un tono o un comportamento poi lo si deve sostenere in qualche modo (anche solo citandolo una volta che i nodi si sono sciolti).
The Creator rimane un’occasione mancata, un concept interessante e ben eseguito (a livello visivo) che però non riesce mai a prendere, lasciando lo spettatore passivamente presente in sala, ma senza alcun legame con quello che accade su schermo.