Barbie prova a parlare di femminismo attraverso la favola, un po’ Toy Story, un po’ Pinocchio, mescolando il mondo reale e quello dei giocattoli in modo diverso da come aveva fatto un tempo Pixar. Qui le bambole hanno un mondo proprio, giocattoloso (scusate il termine), completamente artificiale eppure influente sul mondo reale. Le loro decisioni infatti plasmano la linea Mattel nel nostro mondo, dove però le cose non stanno andando molto bene, non tanto dal punto di vista delle vendite quanto da quello che le bambole rappresentano nella cultura del tempo.

L’abbiamo visto tutti nel trailer, Barbie a un certo punto si chiede se qualcuno pensi mai alla morte, sconvolgendo la sue barbie amiche, che a quanto pare seppur emancipate e diverse non affondavano mai troppo nel dolore e nel pensiero profondo. Alla base di questo concetto parte l’avventura di Barbie, Margot Robbie, costretta a confrontarsi direttamente con il suo “animale guida” la bambina che un tempo ha giocato con lei ma che oggi non la vede più di buon occhio, abbandonata perché diventata un personaggio sessista che alimenta gli stereotipi di genere più beceri.

PRESENTI ALCUNI SPOILER

Allo sconvolgimento di Barbie si contrappone la meraviglia di Ken (che ha più spazio di quanto possiate immaginare, forse troppo), personaggio secondario della linea di giocattoli, da sempre disperatamente dipendente da lei e senza un reale obiettivo nella vita se non quello di essere visto da Barbie. Nel mondo reale scopre il patriarcato e i cavalli (poi capirete perché) e la sua vita, come il Barbieland, saranno destinati a cambierà per sempre.

Nel frattempo Barbie, intenzionata a dimostrare i suoi buoni propositi, decide di portare la sua bambina (che poi si scopre essere la madre di una bambina, i genZ non giocano con le bambole, almeno non più) a Barbieland per dimostrare come lì le Barbie riescano in ogni campo avendo creato un mondo matriarcale perfettamente funzionale e di grande ispirazione per le più giovani.

Intanto Ken ha cambiato tutto, trasformando Barbieland nel peggior mondo maschilista e tossico (che ha intravisto nel mondo reale) dove le Barbie si sono trasformate in dame di compagnia sempre pronte ad assecondare i bisogni degli uomini. Ma Barbie ha un piano per rimettere le cose a posto e creare forse un mondo migliore di quello precedente.

FINE SPOILER

La parabola di Barbie è molto esplicita, diretta, ma funziona, il messaggio arriva forte e chiaro. In un mondo in cui le donne vivono tre passi indietro agli uomini e dove la loro parola è sempre soppesata in modo diverso (e lo vediamo anche qui da noi ogni giorno, anche in questi giorni) la metafora del giocattolo viene in fretta sostituita dalle parole della mamma un tempo fan di barbie: sono parole forti, senza filtri, un monologo che spiega in pochi minuti il fardello che ogni giorno una madre/donna deve affrontare. Niente è dato per scontato, tutto va guadagnato, e ogni cosa ha bisogno di molte più energie, fisiche e mentali rispetto alla controparte maschile.

Anche se portatore di un messaggio molto importante e complesso, Barbie non dimentica la sua linea comica che rimane il fulcro del film (e fa molto ridere).

Tanti gli elementi che compongono la pellicola: la voce off che accompagna il racconto in maniera meta cinematografica parla direttamente allo spettatore e spesso si lascia a commenti diretti anche sull’attrice stessa (Margot Robbie); i modelli delle bambole, riprodotti in maniera certosina (compresi i modelli più assurdi ritirati dal mercato) che caratterizzano l’intero film, come gli accessori che formano Barbieland (il set è incredibile nella sua plasticità); il marchio Mattel che viene rappresentato in maniera cartoonesca con Will Farrell che riprende i toni di Zoolander (quel suo modo di recitare sopra le righe) e porta in scena un board di Mattel completamente al maschile interessato solo al vile denaro, rappresentando in maniera perfetta quel femminismo al maschile che si limita a dimostrarsi aperto e comprensivo (ma più per paura del giudizio post me too che per una reale illuminazione) salvo poi voler rubare alle donne anche quei termini non declinabili, in un cortocircuito che cerca di equiparare il lavoro che si sta facendo per parificare la terminologia delle parole, per lo più dominate dal maschile, volendo togliere alle donne anche quello che non si può (“chiamami madre” dice a un certo punto Farrell a Barbie, “No Thanks” risponde subito lei).

La scelta straniante di Barbie (bambole in carne e ossa e mondo reale, tono surreale) può non piacere a tutti, ma regala al film un’aurea particolare amplificata dalla recitazione dei suoi protagonisti (sia Margot che Ryan sono perfetti) e da quella dei tanti comprimari (c’è tutto il cast di Sex Education) con Micheal Cera nei panni del dismesso Alan (un amico di Ken) che strappa sempre una risata con la sua sad face esilarante.

Ps. per quanto il marchio Mattel sia ovunque (all’inizio del film compare tra i produttori) il film riesce a mostrare il suo lato critico senza diventare uno spot pubblicitario (attenzione, le bambole ci sono, con tanto di nomi) con tutto che, essendo un film tratto da un prodotto di consumo, non può essere evitato completamente (The Lego Movie ha gli stessi problemi, anche se ha un messaggio meno complesso da comunicare).

PPS. per chi ha paura dell’effetto musical, no, per quanto Barbie ha dei momenti musical, le parti cantate e ballate non sono dominanti.