When you play the game of thrones, you win or you die.

Siamo arrivati alla fine, dopo 8 stagioni è finito Game of Thrones ed è il momento di tirare le fila.

Una piccola ma fondamentale premessa prima di partire: il grande problema di questa ultima stagione è che tutto accade molto velocemente e con molta fretta. Erano solo sei episodi e c’erano tante cose da dire e tante storie da chiudere, siamo tutti d’accordo che qualche episodio in più avrebbe certamente fatto bene a livello narrativo, ma le puntate erano sei e in sei puntate era difficile fare diverso. Continuare a lamentarsi di questa cosa serve veramente a poco se non a niente. Ci sono tante cose che si sarebbero potute sistemare con solo qualche episodio in più, ma che ci possiamo fare? Questo è quello che ci è stato dato, possiamo solo giudicarlo per quello che è, non per quello che avrebbe forse potuto essere o che avremmo voluto che fosse. Certamente è una stagione problematica, ci sono problemi di ritmo evidenti e diversi snodi della narrazione, anche importanti, arrivano in modo brusco e a volte fastidioso. Non sono cieco, vedo benissimo anche io questi problemi e questi difetti, nell’analisi e nel giudizio della stagione però mi sento di dire di poterli mettere in secondo piano e di valorizzare invece ciò che è stato fatto di buono che secondo me, e sempre secondo me, sopperisce e spesso rende marginali e meno influenti questi problemi.

Fine del pippone ora parliamo della stagione.

 

ATTENZIONE SPOILER! È ANCHE NEL TITOLO MA LO RIPETO, QUESTO ARTICOLO CONTIENE SPOILER DAL FINALE QUINDI SE NON LO AVETE VISTO NON LEGGETE, E SE LEGGETE POI NON VENITE A PIANGERE DICENDO CHE VI ABBIAMO ROVINATO LA VISIONE. FATE I BRAVI.

 

Due anni fa parlando della settima stagione premiavo la capacità di GoT di sapersi evolvere e di essere riuscito a passare da show di nicchia, fatto con un budget risicato e attori quasi tutti sconosciuti a grandissimo evento pop, di essersi aperto al pubblico di massa quasi rinnegando i fan di più vecchia data, diventando uno show montagna russa ultra spettacolare, che per poco non abiurava le caratteristiche che lo avevano reso grande per ergersi sopra ogni altra serie a re dell’intrattenimento televisivo.

Oggi, dopo aver visto anche questa nuova ed ultima stagione, voglio premiare un’ulteriore capacità evolutiva di GoT, che anche ampliando la componente spettacolare è riuscita a ri-innestare gli elementi più cari a fan storici unendo a draghi, battaglie, fuoco e fiamme una ritrovata attenzione ai personaggi, ai loro archi narrativi e alle loro interazioni. Riuscendo ad unire la natura di grande show ormai per le masse e la sottigliezza di un dramma politico e umano.

Questa evoluzione è passata, ed è dipesa dall’abbandono del materiale originale, senza più il backup dei romanzi Benioff & Weiss si sono dovuti immergere in acque oscure e tumultuose, tenendo insieme un baraccone estremamente eterogeneo di trame e personaggi. Un compito difficilissimo la cui riuscita ha avuto sorti alterne. Sicuramente dalla quinta stagione si è sofferta tanto la mancanza del materiale dei romanzi ma dopo due stagioni di assestamento (la 5 e la 6), D&D sono passati con la settima a mettere le basi per la grande e spettacolare impalcatura del gran finale, puntanto tanto, se non solo, sul comparto visivo, con regia ed effetti speciali da cinema, mettendo, però, un po’ in secondo piano la narrazione. Con questa ottava e ultima stagione sono riusciti, secondo me, ad aggiungere a un comparto tecnico e visivo straordinario per una serie televisiva, un ritorno ad un focus speciale sui personaggi. Perché sono da sempre i personaggi la grande fortuna di Game of Thrones, sia nella serie sia nei romanzi dove ogni capitolo era narrazione in POV di uno dei tantissimi protagonisti.

E proprio per i suoi personaggi e per la loro natura che ci ricorderemo di GoT, forse più che per i draghi e le battaglie.

What unites people? Armies? Gold? Flags? Stories. There’s nothing in the world more powerful than a good story. 

Siamo tutti delle storie, e non possiamo fare altro che sperare di venire raccontanti nel miglior modo possibile.

Per tutte le sue 8 stagioni GoT ha operato una decostruzione dell’eroe, eliminando ogni alone di divinità, di infallibilità, di eco mitica dai suoi personaggi, spogliandoli e presentandoceli solo come uomini. Corrotti, distrutti, asserviti, bramosi, speranzosi, fiduciosi, pieni di buone o di cattive intenzioni. Tutti vorticanti intorno a quel trono simbolo di un potere fasullo, potere che logora chi non ce l’ha, chi ce l’ha, chi lo vuole e chi non lo vuole.

Alla fine della prima stagione, l’unico vero eroe senza macchia viene decapitato davanti agli occhi delle sue figlie. La tragica dipartita di Ned Stark è il segno chiaro ed evidente che Westeros non è posto per eroi idealizzati e perfetti, ma è un pantano grigio di umanità. Il più grande pregio di GoT e di A Song of Ice and Fire è di rendere reali, di rendere uomini veri i personaggi di una serie fantasy e quindi di non avere dei buoni o dei cattivi ben definiti, ma uomini che passano da una parte all’altra, potendoci quindi fare simpatizzare, anche a lungo, con personaggi che poi si rivelano essere meschini e tutt’altro che simpatici.

Quanti di noi erano  #TeamStannis? Scommetto molti, quanti di noi hanno sofferto nel vederlo annegare nel pantano di bile in cui la sete di potere lo aveva portato fino a dare alle fiamme la sua stessa figlia?

Ed è questa probabilmente la cosa che più infastidisce alcuni detrattori di questa stagione: che i personaggi di questa storia non siano perfetti ma che siano come noi, mettendoci allo specchio con le nostre debolezze invece di crearci esempi di virtù da idealizzare in eterno.

Ed è vero ci sarebbe piaciuto che Jaime si liberasse dalla sua dipendenza, che riuscisse a sconfiggere i propri demoni rimanendo con Brienne, finalmente libero e felice. Ma non funziona così, Jaime è un tossico, la sua droga è l’amore malato e sbagliato per sua sorella Cersei, la madre dei suoi figli, la donna per cui ha combattuto e compiuto ogni azione terribile nell’arco di tutta la sua vita. E Jaime lo sa che è sbagliato, ci ha provato a cercare un’alternativa, l’aveva trovata, ma alla fine di tutto, non poteva che tornare da Cersei, a morire con lei, abbracciando totalmente la propria natura di uomo fallace e sbagliato e smettendo di negare quell’amore assoluto che lo accompagna dal primo vagito.

You think I’m a good man. I pushed a boy out of a tower window, crippled him for life. For Cersei. I strangled my Cousin with my own hands, just to get back to Cersei. I would have murder every man, woman and child in Riverrun for Cersei. She’s Hateful. And so am I.

Ci sarebbe piaciuto che Daenerys rompesse davvero la ruota e creasse un regno giusto e libero dalla tirannia, ci credeva anche lei in fondo. Ma dimenticavamo le città che aveva già messo a ferro e fuoco, dimenticavamo le lunghissime file di crociifissi, dimenticavamo che aveva promesso di prendersi tutto con fuoco e sangue. Dimenticavamo che l’unica cosa che contava per lei fosse il trono, fosse il potere, fosse venire adorata come regina e idolatrata come liberatrice e distruttice di catene. Dimenticavamo che quelle catene erano state spezzate con fuoco e sangue. Dimenticavamo che era stata cresciuta ed educata ad ascoltare una sola verità: la propria. Daenerys non è impazzita, Daenerys è solo passata dalla potenza all’atto. Dal promettere fuoco e sangue a dare fuoco e sangue. Dal ribollire di paura, di rabbia per una meta così vicina e lontana, per un traguardo a portata di mano ma che rischiava già di perdere se le cose non fossero state messe in chiaro. Daenerys, nata dalla tempesta, era la gloria di Valyria, erede di conquistatori ormai sola al mondo, accerchiata dai nemici e conosceva una sola risposta a questa situazione: “Dracarys!”

When my dragons are grown, we will take back what was stolen from me. We will lay waste of armies and burn city to the ground.

 

Everywhere she goes evil man die and we cheer her for it and she grows more powerful and more sure that she is good and right.

Ci sarebbe piaciuto che Jon Snow, l’uomo più vicino a quell’ideale di eroe che tanti testi ci hanno trasmesso, si opponesse con forza alla barbarie messa in atto da Daenerys, la sua regina. E invece si fa complice per paura di un potere che non vuole, che non ha mai voluto ma che per tutta la vita gli si para davanti e lo avvinghia. Ancora una volta Jon Snow si fa da parte, si rimette al giudizio di qualcun altro piuttosto che uscire allo scoperto. Jon è l’uomo distrutto e schiacciato tra il dovere, gli obblighi e le regole e ciò che è giusto e troppo spesso queste due cose non coincidono. Jon lo sa bene, è venuto meno già una volta al suo dovere, al suo giuramento, e la cosa gli si ritorse contro a tal punto che perse la donna che amava e fu ucciso. Jon è il più grande sconfitto del gioco del trono, l’unico che davvero non avrebbe mai voluto partecipare condannato ad essere pedina fondamentale obbligata dalla storia ad andare contro ogni proprio credo, fino a dover di nuovo venire meno al proprio giuramento e perdere di nuovo la donna che amava.

Love is the death of duty. […] Sometimes duty is the death of love.

Ci sarebbero piaciute tante cose, ci siamo immaginati tante cose e alla fine sul trono, che non esiste più, e che poesia il drago che distrugge il simbolo del potere che aveva avvelenato e ucciso sua madre, sale il più lontano dall’idea di eroe, di potente, il più piccolo tra i signori di Westeros, uno storpio che però è il custode di tutta la memoria della storia degli uomini, è il custode di tutti i fallimenti, di tutti gli sbagli, di tutte le meschinità e forse per questo saprà aiutare il suo regno a rialzarsi a non commettere gli stessi errori.

Un finale assolutamente anticlimatico di nuovo perfettamente in linea con lo spirito della serie, non ci sono feste, non ci sono grandi eroi da portare in trionfo, ci sono conti da risanare, città da ricostruire, popoli da sfamare. La giostra continua, questa volta, forse, verso una direzione migliore, un sogno di primavera, a Dream of Spring come pare si intitolerà il settimo e ultimo romanzo, ancora lontano dal venire alla luce.

What unites people? Armies? Gold? Flags? Stories. There’s nothing in the world more powerful than a good story. Nothing can stop it, no enemy can defeat it, and who has a better story than Bran the Broken? The boy who fell from a high tower and lived. He knew he would never walk again so he learn to fly. He crossed beyond the wall, a cripple boy, and became the Three Eyed Raven. He is our memory, the keeper of all our stories. Of wars, weddings, births, massacres, famines. Our triumphs, our defeat, our past. Who better to lead us into the future?

È stato un lungo viaggio, una grossa pagina di storia della televisione e della serialità televisiva è stata scritta, è stato un evento unico e quasi irripetibile, è stato probabilmente l’ultimo evento collettivo della storia della tv, non c’è nessun’altra serie al momento capace di unire così tanti tipi di pubblici, capace di creare così tanta attesa a livello globale, monopolizzando il dibattito, portando la gente in tutto il mondo a riempire i bar per vedere tutti insieme le puntate, a creare chat di gruppo per scambiarsi pareri, a scannarsi sui social per un periodo così vasto. Dovremo aspettare a lungo per riprovare questo tipo di emozioni.

È stato un grande viaggio, fatto di alti e bassi, non perfetto, anzi, pieno di difetti e di problemi, ma un viaggio che nel bene e nel male ci ha accompagnato per tanti anni, che ci ha unito, ci ha fatto scoprire cose nuove, posti nuovi, persone nuove. Ci ha accompagnato per tanti anni, diventando una costante, un qualcosa su cui contare e ora che non ci sarà più ci mancherà sicuramente tantissimo.

Si volta pagina, ci saranno nuove serie, ci saranno gli spin off (uno è già in lavorazione), forse ci saranno i libri, io non credo che arriveranno mai ma la speranza è l’ultima a morire.

È stato un bellissimo viaggio, è stato bello poterlo condividere con tante persone, è stato bello rimanere alzati fino a notte fonda, è stato bello discutere, esaltarsi, litigare, commuoversi.

Grazie a tutti.

 

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