Dopo il grande successo di Call me by your name, Luca Guadagnino ha deciso di rifare uno dei suoi film preferiti, Suspiria di Dario Argento, un remake personale che dosa bene omaggio e rilettura ma, forse, pecca troppo di autocompiacimento.
Luca Guadagnino è certamente uno degli autori più interessanti del cinema italiano di oggi, è certamente una delle sue personalità più forti e sicuramente uno dei più apprezzati all’estero tutte caratteristiche indispensabili per lanciarsi nell’avventura di rigirare Suspiria, capolavoro dell’horror di Argento e cult intoccabile per milioni di appassionati.
Esce da questa operazione un prodotto autoriale importante nel quale il regista palermitano fa confluire tutto il suo amore per la pellicola di Argento ma allo stesso tempo se ne distacca per proporre al pubblico un film molto personale. Il capolavoro di Argento era un efficacissimo meccanismo di paura estremamente dosato e in cui tutto era al servizio dell’effetto finale sullo spettatore, ogni ingranaggio (musiche, montaggio, storia, fotografia, recitazione, regia) era perfettamente integrato con gli altri e il film ne usciva come una perfetta macchina “horrorifica”.
Guadagnino dilata tutto per prendersi il tempo di deviare dal racconto e aggiungere elementi e ragionare sul cinema, sull’arte, sulla bellezza, mette subito in chiaro tutto dall’inizio, rivelando subito tutte le carte al contrario di Argento che svelava a poco a poco i segreti della scuola di danza. In questo Suspiria invece ci viene rivelato tutto subito, come a dire che tanto la storia la sappiamo e ci si può concentrare su altro, per poi tornare al dunque solo alla fine dove il film di Guadagnino si distacca di più e inserisce due colpi di scena finali molto forti.
Questo scoprire le carte subito è però forse il più grosso difetto di questo nuovo Suspiria, dopo poche decine di minuti dall’inizio ci troviamo di fronte ad una scena paurosamente gore, che darà problemi anche agli stomaci più allenati e robusti, a quel punto lo spettatore si aspetterebbe di cadere in un vortice di orrore e ansia senza fine, quando invece è come se il film mollasse gli ormeggi dal porto dell’horror per partire verso altri lidi e quindi complice la conoscenza del soggetto il film non riesce più a spaventare o ad inquietare perdendosi invece in lunghissime divagazioni e momenti di puro compiacimento.
Guadagnino gira tutto il film cercando di dare allo spettatore l’impressione di stare guardando un film degli anni ’70 quando invece l’impressione che si ha è quella di vedere un film del 2018 che fa di tutto per farti credere di assomigliare ad un film degli anni ’70; tutto dalle scelte di regia, all’uso della pellicola al montaggio con continue ellissi, shock, contrappunti, sobbalzi non hanno come primo scopo la funzionalità e il servizio alla narrazione ma sono sempre autocompiaciuti, a ogni stacco avevo l’impressione di avere lì Guadagnino che mi picchiettasse sulla spalla dicendomi “Hai visto come sono bravo? Hai visto come muovo la macchina? Hai visto che angolazione? Guarda ora questo squarcio, sono bravo eh?! Sono un grande, sembra di vedere proprio un film di Argento!”.
Una sensazione questa che non mi ha mai abbandonato durante la visione è che mi ha compromesso un bel po’ il piacere della visione del film, perché Guadagnino non ha bisogno di questi escamotage per dimostrare che è un grande e perdendosi in questo compiacimento di se stesso ha perso anche il film che vaga per discorsi personali per un’eternità portando lo spettatore fino al punto di rischiare la noia.
Suspiria di Argento era un meccanismo perfetto e ben oleato che in 90 minuti portava lo spettatore in un viaggio nell’orrore e nell’angoscia e ogni suo aspetto era funzionale a questo scopo.
Suspiria di Guadagnino si gioca quasi subito le carte di orrore e angoscia per poi riprenderle solo nel finale e sempre in una lettura molto gore e splatter che colpisce lo spettatore allo stomaco più che alla testa; nel mezzo si perde in analisi e riflessioni molto cari al cinema del regista palermitano che però si lascia andare a momenti lunghissimi in cui l’omaggio diventa autocompiacimento spinto ma senz’anima in cui il regista cerca di farsi grande nell’imitazione di qualcun altro quando invece i momenti migliori del film sono quelli più personali dove Guadagnino fa Guadagnino.
Da segnalare le buone prove di tutto il cast su tutti una camaleontica Tilda Swinton alle prese con ben tre diversi ruoli e la bellissima colonna sonora firmata da Thom Yorke.
In conclusione, però, questo nuovo Suspiria è una rilettura interessante dell’originale cult di Argento che riesce a non essere una copia ma un’intrigante nuova versione dello stesso soggetto attualizzato e capace di portare avanti più discorsi contemporaneamente sacrificando però per buona parte della lunga (ed eccessiva) durata l’angoscia e la tensione dell’horror.
Arriva nelle sale italiane il 1 gennaio da vedere sia per gli affezionati al film del 1977 sia per chi è alla ricerca di un film di paura un po’ sui generis. Sicuramente sconsigliato agli stomaci deboli.
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