Nel il mio articolo sulla linea Diaclone della ditta giapponese Takara, importata in Italia dalla mitica GIG ho parlato dei primi robot giocattolo trasformabili.

La serie, in patria, continuò ad evolversi e sfociò nella linea car-robot. Questi modelli costituiranno la serie degli originali Autobot in America ma, nella loro prima incarnazione nipponica, erano ancora legati alla serie originale di Diaclone. Presentavano colori sgargianti e scritte a tema. Inoltre tutti erano dotati dei micropiloti (“dianauti” in Italia) dotati di calamite.

In effetti l’inclusione di questi piccoli omini, che fungevano da “filo conduttore”, costrinse i progettisti a compiere veri e propri salti mortali per inserire i cockpit nei robot.

La cosa si concretizzò in molte soluzioni eterogenee e poco probabili. Inoltre, spesso, il pilota poteva essere inserito solo nella forma automobilistica del modello e non in quella robotica.

In alcuni robot furono addottati degli.escamotage, ad esempio nella Honda City il pilota disponeva di una piccola moto (alloggiata nel portabagagli) da usare quando il veicolo si trasformava in robot. Questo suggeriva che la macchina fosse dotata di intelligenza e si potesse muovere senza pilota. Idea che caratterizzerà la successiva commercializzazione USA da parte di Hasbro e la nascita dei Transformers.

 

In Italia la GiG decise, anticipando la cosa, di eliminare i piloti quando importò la seconda serie dei car-robot, identica alla prima ma con colorazioni più simili a quelle dei normali autoveicoli. Avendo eliminato, così, il collegamento a Diaclone battezzò la serie TRASFORMER e non si curò di suddividerla in fazioni o di caratterizzarla. Tra l’altro gli imballi interni erano quelli originali giapponesi, che presentavano lo spazio, sagomato, per il micropilota. Cosa che generava parecchie perplessità negli acquirenti.

I modelli, però, erano così belli che il successo italiano fu notevole. Le trasformazioni erano talmente complesse (per l’epoca) da indurre molti a inneggiare al realismo. Inoltre non abbisognavano di “parti esterne” agganciabili (come pugni e teste): il robot era assolutamente autonomo nella trasformazione. Unica eccezione: le varie armi impugnabili incluse nella confezione. Queste ultime erano dedicate per ogni modello e tendenzialmente si incastravano su braccia e schiene in maniera diversa. Non erano quindi interscambiabili. Solitamente in ogni modello erano comprese due pistole in plastica ed un dispositivo sparante che, da noi, venne dotato di proiettili “a fungo” con protezioni in gomma simili a quelle dei micronauti magnetici.

Uno degli ultimi modelli lanciati sotto il marchio TRASFORMER fu proprio il camion Optimus Prime/Commander, però nella versione Ultra Magnus/Convoy.

La motrice si trasformava nel robot principale (colorato in blu) ma, anziché il rimorchio convertibile, di base, il veicolo era dotato di una bisarca che si poteva unire alla motrice per formare un robot gigante.

Successivamente, con l’arrivo dei cartoon, la GIG iniziò ad importare la linea Transformers della Hasbro (prodotta dalla Takara ed altre ditte) e quindi arrivarono i modelli più famosi, compreso il Commander col logo degli Autobot e la livrea rossa e bianca.