Un tempo, in un mondo antico dominato dalla magia e dalla spada, la tribù dei Ragnics era l’unica ad avere libero passaggio poiché la loro regina Canary (Virginia Bryant) custodiva un magico rubino. Una pietra per la quale all’alba dei tempi, i loro re barattarono una montagna d’oro, un rubino che racchiudeva il segreto della musica, della gioia e della bontà, più preziosi di qualunque tesoro. Ecco perché i Ragnics erano giocolieri, cantastorie, musicanti e saltimbanco. Tuttavia un signore malvagio di nome Kadar (Richard Lynch), bramava il potere della pietra, infranse il patto, diede la caccia ai Ragnics, catturò la regina, mentre la tribù si disperse nella foresta, ma la pietra era ormai riposta in un luogo segreto. Due fratelli gemelli Kutchek (Peter Paul) e Gore (David Paul), adottati dalla tribù insieme ad una bambina, si ribellarono alla cattura ma senza successo, affinché la loro vita fosse salva, la regina promise di obbedire al signore, così i due vennero fatti schiavi e nell’odio crebbero sino al momento della loro fuga. Rincontrati i vecchi compagni ora insieme ad una ladra di nome Cara (Eva la Rue) cercano di salvare la loro madre e di sconfiggere il malvagio signore.
Un film da ricordare con affetto, ne abbiamo molti, quelli che rammentavamo perfettamente non essere capolavori, ma che ci mancano perché erano i primi, quelli per cui i ragazzini d’oggi ci canzonerebbero, senza paura, senza architettura del budget, fatti da quelli che ci credevano per quelli che volevano crederci ed oggi sinceramente, in questo nuovo parco del cinema con tutti i pregi e le migliori trame, non c’è più posto per i baracconi.
Questo è il motivo per cui ho preso in considerazione quest’opera del 1987, un film che si può acquistare anche in DVD ma che in realtà è la versione VHS masterizzata, quasi per rimanere in sintonia con lo spirito del tempo. Segnalo per chi dovesse recuperare questo prodotto, la palese incongruenza tra la descrizione sulla confezione e la reale trama del film.
Un fantasy italiano, di un regista/attore di tutto rispetto, Ruggero Deodato, il primo a mostrare il cannibalismo in un film in Italia (Non a caso Eli Roth lo ha voluto come attore in Hostel Part 2 nella parte di un cannibale italiano), si è prestato al thriller, all’horror, al poliziesco (anche se per uno solo nel 1976) e a questo fantasy dell’epoca, in cui il cinema non era divorato dalle commedie e dalle fiction, ma sinceramente un opera con alcune debolezze che più avanti anche se descritte, non tolgono abbastanza da immaginare qualcosa come Fantaghirò perché è un film che si può definire brutto, ma non così inutilmente brutto.
Nel costrutto principale non vanno sottovalutati diversi punti:
Non mancano incongruenze riguardo i personaggi, i due gemelli bambini che diventano uomini e la loro sorella una donna, la natura fa il suo corso, ma il resto dei personaggi rimane pressoché uguale, quasi coetanea, si suppone che anche nel ’87 il make-up potesse realizzare una rughetta e qualche capello bianco.
I costumi sono semplici e nell’arco delle interazioni non colpiscono, l’opposto se parliamo dei soldati del signore oscuro, con elmi dalle lunghe corna, ecco perché molta della pellicola è girata all’esterno, gli attori non sarebbero passati per una porta. Ricordo però che quel tipo di enfasi estetica, la possiamo riscontrare anche in “Conan il distruttore” (Lì serviva a mascherare attori riciclati). Le creature sono carenti sugli effetti speciali, ma da notare lo sforzo per portarne molte sullo schermo, come i mostri della palude anche ben fatti, il lupo mannaro invece poco credibile, peggio delle creature di “The village” ed il drago, un incrocio tra un serpente telescopico ed un cane uscito dalla macchina del trasbordo del dottor Brundle (La mosca). Ovvi i rimandi a “Conan il barbaro“, la scena della schiavitù e la tomba dell’antico re.
La musica d’impatto ed uno sfondo di terre desolate da subito, imprimono alla pellicola, uno charme stile “Fantozzi contro tutti” e la musica è così in almeno un paio di momenti, ma poi una voce fuori campo con il “c’era una volta” (infantile) rilassa lo spettatore e grazie anche all’ottimo doppiatore, ci si da anche del tenore, quasi non ha nulla da invidiare all’oratore di “Conan il barbaro“.
Purtroppo la magia finisce presto e molto spaghetti-fantasy, (ma la definizione è incompleta), affiora qua e là, palizzate molto povere che cadono in maniera altrettanto misera, una balestra che ci viene mostrata alla fine, ridicola riproduzione da fiera che si trova ovunque e una scazzottata (per fortuna una sola), con i tipici sound fx alla Bud Spencer, scene di umorismo che non stonano anche se troppo accentuate, come sollevare una donna e riporla senza che si svegli. Kadar (Richard Lynch) è il signore che in una trama davvero minimale ha il ruolo del cattivo, senz’arte ne parte, qualche domanda su due piedi: Il signore di che cosa? Di quante terre? Di che estensione? Come e quanto ha ucciso per ottenerlo? Tutte domande senza risposta e Kadar eccessivamente euforico anche per un malvagio, ride dall’alto della sua montagna, come il Crom di Conan.
E’ quindi la trama stessa anche se corretta nella sceneggiatura (cioè con le giuste motivazioni apportate alle giuste azioni e correlate alle giuste risposte), troppo scarna per un fantasy, anche ammettendo la pietra che contiene il segreto della bontà, della musica, ecc (Idea troppo naive anche per un fantasy), c’è troppo poco sotto e i personaggi, se pur ben delineati, non hanno piani con i quali complottare, manca l’obbiettivo. C’è molta favola per non spiegare il fantasy e c’è troppo fantasy per spacciarla come una favola. Ma il tempo è ben scandito, non c’è n’è per troppe chiacchiere ed una buona regia non cade nel tranello delle lunghe attese e ci si sposta da una parte all’altra, forse proprio per non dare troppe spiegazioni.
Riuscitissima la coppia dei fratelli Paul, con il solito contrasto del fratello intelligente e fratello scemo, il verso dell’uno e l’ammiccamento dell’altro, due uomini giusti nel ruolo giusto e probabilmente questi sono i più riusciti nella loro carriera. Indimenticabile Ibar (Franco Pistoni) che sfoggia una capigliatura davvero surreale e a modo suo China (Sheeba Alahani) che per l’appunto tradisce il suo signore, ma senza nascondere nulla, deviare i sospetti, niente di architettato e termina praticamente come ha vissuto, nella banalità dell’ovvio, prima della fine la gente sa già come dovrà finire. In fine Canary (Virginia Bryant), una vera regina anche se ridicolizzata da una scena che la vede affrontare il nemico mentre la sua tribù è lì a guardare.
Un film simpatico ma non bello (la storia della mia vita), con un forte contrasto interiore, una regia forte e una sceneggiatura debole, effetti speciali scarni e un buon umorismo di rimando, narrazione fievole e attori validi nell’intreccio assente, un ritmo sostenuto e la mancanza di materiale, tensione inesistente e violenza credibile e divertente. Un film da ricordare, un cult del fantasy italiano, ovviamente della vecchia guardia, prima che il fantasy fosse abbandonato per la commedia, quando ancora si portava sullo schermo, il mistero, la lotta, le armi e non per descrivere il divorzio in famiglia.
Battuta da ricordare: Ibar (Franco Pistoni): “Presto portate tutte le vergini!”…”Solo due?”
Scena da ricordare: Kutcheck e Gore nell’harem di Kadar
Consigliato a: Amanti del fantasy prima dell’avvento della computer grafica.
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