Insomma, l’anno della pandemia ha creato non pochi disagi all’industria cinematografica. Tanti sono stati i rinvii al 2021 (o addirittura al 2022), tanti quanti sono ancora i negazionisti in giro per l’Italia e in giro per il mondo e l’unica cosa certa è che non ne usciremo di sicuro migliori. Andrà tutto bene? Chi lo sa, se andiamo avanti così no.
Finito questo breve ma necessario excursus sulla pandemia, torniamo a parlare di cose serie. Oggi 23 Ottobre, esce in esclusiva su Amazon Prime Video, dopo 14 anni di assenza, Borat Subsequent Movie Film. Un ritorno un po’ inaspettato a dire la verità, del resto è stato lo stesso Sacha Baron Cohen, a dire che personaggi come Brüno, Ali-G e lo stesso Borat, funzionavano solamente in quel momento e in quel contesto, proprio perché lasciavano realmente interdetti i vari intervistati. C’era veramente bisogno? Beh, il mondo dal 2006 è peggiorato, dopo la crisi, dopo la morte di Bin Laden, dopo l’ebola e dopo Charlie Hebdo, la pandemia ha ridotto il cervello di tanti cospirazionisti a un mucchietto di polvere (lo stesso cervelletto che non ha fatto altro che far eleggere a Presidente degli “US and A” il simpaticissimo Donald Trump) e ha portato la gente a pensare che la mascherina sia solo uno strumento di controllo della mente. Insomma, un film come questo ci voleva eccome, sopratutto se pubblicato direttamente su una piattaforma di streaming come Amazon Prime Video, soprattutto se pubblicato una settimana prima delle elezioni americane.
Riuscirà questo secondo capitolo a ripetere il successo del primo e a ribaltare le sorti del Kazakistan?
Se volete scoprirlo, sparatevi Bregović nelle orecchie e continuate nella lettura.
Facciamo un piccolo punto della situazione. Nel 2006, dopo l’uscita del primo documentario Borat – Studio culturale sull’America a beneficio della gloriosa nazione del Kazakistan, le vendite di pubi e potassio sono crollate e lo stesso Kazakistan, è diventato lo zimbello del mondo, portandolo ad un suo personale 1929. Borat Sagdiyev, dopo 14 anni di lavori forzati, si reca nuovamente negli Stati Uniti dal Kazakistan, nel bel mezzo della pandemia di COVID-19 e poco prima delle elezioni del 2020, per regalare uno scimpanzé (Johnny The Monkey) a Michael Pence.
La provocazione è, come nel primo capitolo, alla base di tutto, ma la differenza sostanziale sta nell’intento. Se prima quello di Borat era un modo per ridicolizzare una nazione, portando in chiave di documentario i suoi eccessi e la grande difficoltà di integrazione rispetto ad un paese d’origine, qui l’intento è quello di screditare (a mio avvisto, giustamente) la politica del 45° Presidente degli Stati Uniti nella maniera più distruttiva possibile.
Il modus operandi è più o meno lo stesso: intervistare la gente locale più o meno ignara di essere capitata in docu-film e metterli alle strette, riportando esempi di cultura del finto Kazakistan, a fatti realmente accaduti durante la presidenza di Trump. Non ne citeremo, nessuno, per evitare qualsiasi tipo di spoiler. Funzionano tutti? Fidatevi di noi, funzionano alla grande.
C’è uno schema ovviamente che segue due percorsi intrecciati tra loro: il primo è quello della figlia Tutar (interpretata da Maria Bakalova), che deve mettere a nudo in un qualche modo le nefandezze della politica conservatrice Trumpiana mentre, il secondo, comunque molto collegato al primo, è quello di ridare luce al femminismo, ma non quello da girl power come ci siamo abituati a vedere in alcuni film ma bensì quello vero, cioè di donne coscienti dei propri diritti e delle proprie potenzialità. Per citare gli Elio e le Storie Tese: “protagonista del mio tempo, protagonista della mia sessualità.”
Per tornare alla domanda iniziale, questa versione di Borat è tanto spregiudicata quanto la prima? No o per lo meno, non nella maniera a cui siamo abituati. Sembra che il personaggio, per quanto dissacrante, sia in un qualche modo cresciuto: lascia il giusto spazio alla figlia e porta con se l’esperienza di ciò che ha già passato nel primo viaggio negli Us and A. Insomma, Azamat Bagatov manca, per carità, ma Turar Sagdiyev lo rimpiazza nel miglior modo possibile, passando da semplice spalla a protagonista vera e propria del film.
A questo punto, credo di aver trovato il terzo film dopo Idiocracy (Mike Judge) e dopo il primo Borat (Larry Charles), tutti e due guarda caso del 2006, che, nel bene e soprattutto nel male racconta chi o cosa siano diventati veramente al di la dell’oceano un mondo dove destra estrema, sessismo, razzismo e negazionismo vincono e dove tutti gli altri perdono. Insomma, prendete la morale e ficcatevela la dove non batte il sole.
Menzione d’onore per la colonna sonora: come dicevano, sempre gli Elio e le Storie Tese, “La musica balcanica ci ha rotto i coglioni è bella e tutto quanto ma alla lunga rompe i coglioni.” è vero? In realtà no e sicuramente non qui, perché per quanto stereotipata, in ogni scena è finemente inserita per rendere il tutto il più rurale e reale possibile.
E per renderlo il più rurale / reale possibile, mi raccomando, guardatelo in lingua originale.