“Uno spettro si aggira per l’Italia. Il suo nome è Samara Morgan”. Questo è l’incipit di uno dei millanta articoli di pessima qualità scritti sul “Samara Challenge”, la nuova moda che perversa sulle strade di questo paese e che si propaga attraverso il web, consistente nella realizzazione di una gag horror in cui l’ineluttabile mostro di The Ring irrompe nella realtà e prosegue nella meno romantica registrazione e condivisione del video sui social. Che c’è di strano? Nulla. Perché se ne parla in maniera così insistente e con toni così allarmistici? Perché il vero spettro che si aggira sulle strade è quello dei tromboni e dei sociopatici che commentano su media più o meno ufficiali.

I professionisti della sfiga

Ovviamente, il Samara Challenge non va bene ai criminologi, agli psicologi, ai sociologi ed alle questure. Si consiglia ai gggiovani di non scherzare (per carità), si sottolinea il pericolo forse per coloro che vedendo Sadako per strada credano veramente che sia arrivato il loro momento, oppure il rischio di spavento per le persone anziane o di ristrette vedute (le stesse che avevano paura si presume dei punk e dei metallozzi), oddio uno spettro! Si consiglia altresì agli organizzatori di queste situazioni di non farlo perché potrebbero incorrere nell’ira di chi controlla i territori, come accaduto realmente. Ovviamente non si è condannato l’aggressore, ci mancherebbe…la colpa è di chi pensava ci si potesse divertire mascherandosi…eh sapete com’è, non si sa mai, poteva essere realmente uno spettro…e la gente è stufa…è stufa di vivere presumibilmente.

Non manca ovviamente chi sottolinea come questi ragazzi utilizzino male il proprio tempo, abbiano dei valori di riferimento bizzarri e debbano darsi da fare anziché giocare. Forse per questi è arrivato il momento di approfondire l’argomento da un lato e farsi una risata (si, proprio una risata, quella che stempera la tensione in sala durante una qualche orripilante scena horror) dall’altra. Non servirà molto a questi venditori di massime al chilo ma forse per una volta proveranno ad approcciarsi all’altro rimanendo zitti e guardando cosa questi propone. Anche quando propone una gag horror.

Samara?

Partiamo dall’aspetto più interessante, ovvero l’approccio situazionista dei performers. Trovarsi insieme per architettare una beffa, farla vivere nel proprio quartiere/paese e recuperare così un senso del divertimento nato dall’iniziativa personale, fruibile senza dover finire alla cassa per pagare il conto è quanto di meglio possa accadere alle blande vite di giovani alla ricerca di contatti, utile fra l’altro a prevenire proprio quell’anemia relazionale al centro dell’origine del mostro omaggiato dalla gag e di tutto il sottogenere che ne consegue. In più, finalmente, anziché far echeggiare scene improbabili di comici che fan ridere per non piangere o far rimbalzare messaggi promozionali del solito marketing 2.0, questa volta siamo davanti ad una citazione di livello superiore, si riproduce live la scena cardine di una delle saghe horror più importanti degli ultimi 40 anni….più o meno……diciamo più importanti dai tempi del new horror: Ringu. E qui arriviamo alle note dolenti, perché quella bambina dai lunghi capelli neri e dal vestito bianco non si chiama Samara manco per il cazzo, si chiama Sadako! Ringu è una serie di 4 film (nell’ordine Ringu 1,2 e 0 ed il non indimenticabile Spiral, Rasen in giappo, uscito in contemporanea con Ringu) più due spin off (Sadako 3D e Sadako 3D 2). Gli spin off sono recenti (2012/2013) ma la saga ha inizio nel 1998. L’universo che viene portato sullo schermo ha una derivazione letteraria, i romanzi di Koji Suzuki, bestsellers anni 90. La maledizione di Sadako, trasmissibile attraverso la visione di un video, si espande oltreoceano divenendo The Ring (3 capitoli) e cambiando faccia, meno spettro e più gore, ma mantenendo le movenze tipiche del teatro sperimentale giappo. Da qui Samara, da cui il Samara challenge, che altro non è che il Sadako Challenge e la vittoria definitiva di Koji Suzuki.

Chi quindi ha interesse ad approfondire scoprirà un modo, quello del J Horror, dove l’alienazione si mescola alle tradizionali storie di spettri giapponesi, dove la suspense inserita in un’atmosfera gelida e stagnante viene interrotta da rapidissimi flash, dove l’orrore è più percepito che visualizzato, dove negli attimi in cui l’orrore emerge e viene visualizzato o ci caghiamo addosso o facciamo un salto sulla sedia, poltroncina o divanetto che sia. L’attività di Hideo Nakata, il regista di Ringu, Takashi Shimizu ma soprattutto Kiyoshi Kurosawa, i registi che più di altri hanno caratterizzato il sottogenere, è ancora importante. Andateveli a cercare in streaming, purtroppo le nostre sale rimangono ancora eccessivamente eurocentiche. Andate soprattutto a recuperare l’attività di questi dal 1997 (l’anno dell’uscita di Cure, di K.K.) al 2007 (uscita di Kaidan, di H.N., omaggio appunto alla tradizione Kaidan, gli spettri giapponesi, da cui il sottogenere) circa.

Perforando il grande schermo, il mostro è infine diventato virale, si è trasferito in supporti più evoluti ed è apparso nella realtà mantenendo intatto il compito tradizionale del genere horror, ovvero raccontare l’orrore, la paura, gli aspetti più cupi della vita per demistificarli, condividerli con gli amici e recuperare relazioni utili a combattere il vero orrore contemporaneo: la solitudine in mezzo ad una contesa che ci vede tutti contro tutti, la scarsità di sincere relazioni, i comizi elettorali tutti i giorni in tutte le piazze, i crocifissi ed i bambini usati per guadagnare un pugno di voti senza che Padre Karras possa intervenire, i ruffiani che fanno carriera, i partecipanti di Amici a Sanremo, Barbara D’urso, l’ultimo film sui Fantastic 4, il remake di “L’ultima casa a sinistra” e via discorrendo all’infinito con l’elenco delle vere peggiori cose che ci possono accadere e che solo recuperando un senso di comunità possiamo superare.