Ci discostiamo leggermente dai nostri film classici per analizzare il sequel del cult-movie il Giustiziere della notte. Non badate alle apparenze è sicuramente uno dei sequel più trash realizzati. Così inconcludente ed eccessivo da rientrare a fatica anche nei nostri canoni. Il film è ambientato qualche anno dopo le vicende del primo episodio: l’architetto Kersey (Charles Bronson) si trasferisce a Los Angeles insieme alla figlia ancora instabile a causa delle violenze subite nel primo film. Con la fortuna che contraddistingue il protagonista (dei criminali hanno ucciso la moglie e violentato la figlia) appena arrivato nella città degli angeli viene aggredito e sei ragazzi gli rubano il portafoglio. Non solo! Questi tre teppisti attraverso la carta di identità scoprono dove abita Kersey e decidono di vendicarsi (non si sa per cosa). Stuprano la colf sudamericana e non appena torna Bronson con la figlia, picchiano lui e rapiscono lei. Un minuto di silenzio per questa povera ragazza che per sfuggire al secondo stupro (a distanza di sette anni) si toglie la vita.
Insomma un bell’incipit da film per famiglie. La storia prosegue con il granitico Kersey che riprenderà i panni del giustiziere e farà fuori ad uno ad uno questi bravi ragazzi.
Il primo film era diventato un cult perché fu uno dei primi a trattare il tema della violenza urbana e a fornire una rappresentazione vivida della microcriminalità delle periferie americane. La violenza del protagonista era giustificata dall’assurda vicenda che aveva vissuto, la crudeltà non era fine a sé stessa. L’architetto Kersey non diventava dall’oggi al domani un pazzo omicida ma aveva un’evoluzione coerente sempre nei limiti del film.
Il sequel, invece, esaspera e rende eccessivi tutti gli elementi del primo. Ci sono centinaia di elementi assurdi che rendono la visione a tratti insopportabile. E’ mai possibile che questo povero architetto sia la persona più sfigata della Terra e chiunque gli stia vicino debba essere stuprato o ucciso (o entrambe le cose)?
L’aspetto pruriginoso di vedere la figlia del protagonista (già distrutta) subire l’ennesima violenza senza un minimo di riscatto è criminale (questo si). Per non parlare delle scelte registiche fatte per girare la scena dello stupro della colf. Una crudezza assolutamente non necessaria esaltata anche da uno stile rozzo.
Passiamo al protagonista: il mitico Charles Bronson. Tipico personaggio duro e puro con una sola espressione facciale. Considerando il genere queste caratteristiche non sono un difetto. Alla fine vogliamo vedere un giustiziere notturno che come un “supereroe cattivo” fa piazza pulita di tutti i “criminali più criminali” della città. Purtroppo, però, il protagonista almeno in questo sequel non ha un grande carisma e nemmeno un’evoluzione degna anche solo di un action-movie. Per fortuna ad interpretarlo c’è Bronson che pur ingrigito dalle molte primavere uccide, devasta e surclassa qualunque delinquente. L’impressione, però, è quella che il film si prenda sul serio. Manca quell’autoironia nelle scene d’azione che ha reso celebri film dello stesso genere a partire dai Guerrieri della notte a cui si avvicina molto come atmosfere. Soprattutto nella prima metà del film. Nell’ultima parte l’arrivo del poliziotto perennemente raffreddato aiuterà a raggiungere un tono più consono.
Ed eccoci ad una perla supertrash: il comportamento del protagonista dopo la morte della figlia. Un lutto così breve non si vede nemmeno nei B-movies più assurdi e dimenticato in poche ore, giusto il tempo di comprare proiettili e fittare una stanza che diverrà una sorta di bat-caverna. Anche le scene che dovrebbero far salire l’adrenalina risultano piatte. Poca suspense e tensione. Anche il tentativo di rendere più umano Bronson con la sottotrama d’amore tra lui e la giornalista risulta sin da subito scialba e incolore.
Sinceramente mi aspettavo almeno qualche guizzo sull’eliminazione dei vari teppisti. Purtroppo solo l’ultimo omicidio riesce a colpire lo spettatore anzi ad elettrizzarlo (così avete capito come viene eliminato). Qualche battutina riesce anche ad emergere dal piattume generale ma si tratta di poca roba. Altra cosa sensazionale è sicuramente il fatto che il protagonista incontri sempre dei teppisti con un quoziente intellettivo inferiore ai loro anni. Prima di commettere qualunque delitto i delinquenti fanno di tutto per mettersi in mostra (e se ci fosse un poliziotto in tutta Los Angeles se ne accorgerebbe). Nonostante abbiano inseguito e aggredito due volte Bronson nessuno lo riconosce pur avendolo ad un metro di distanza.
In definitiva un brutto film senza grandi pretese che è possibile guardare solo per due motivi:
1) Rivedere il mitico Bronson in azione per ripensare all’indimenticabile “Armonica” di C’era una volta il West e ad altri memorabili ruoli da duro.
2) Ridere dell’ironia involontaria scatenata da tutto ciò che succede sullo schermo.
Cose da (non) ricordare:
– Gli occhiali del giovane Laurence Fishburne (uno dei delinquenti).
– L’espressione di Bronson al funerale della figlia.
– Bronson che con una pistola evidentemente dai colpi infiniti mette in ginocchio dei teppisti armati con mitra e fucili.
Unica frase degna di nota: – Tu ci credi in Dio? – Si, ci credo. – E allora vai a trovarlo! (sparo).
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