Si fa un gran parlare di Hollywood, della sua attuale crisi di idee e carenza di talenti. E’ un mugghiare continuo e sostenuto e, a dirla tutta, neppure completamente immotivato. Se però ci allontanassimo un attimo da quella visione che vuole i tempi odierni sempre e irrimediabilmente peggiori di quelli passati, scopriremmo che gli autori illuminati e le isole felici esistono ancora. Gente capace, pur lavorando all’interno del sistema, di realizzare opere personalissime, fantasiose, pulsanti e soprattutto con qualcosa di interessante da dire. Non vorrei peccare di scarsa fantasia citando per l’ennesima volta il nome di Peter Jackson.

Jackson, il grande outsider, l’autore visionario che in un momento essenziale della propria carriera (fino a quel momento contrassegnata da film indipendenti a basso budget) decide di flirtare con la Mecca del cinema e regalarci, dopo il banco di prova rappresentato dal delizioso “Sospesi nel tempo”, una delle più imponenti ed emozionanti esperienze cinematografiche che la storia della settima arte ricordi: la trilogia de “Il Signore degli Anelli”.

Grazie a questo trionfo economico e artistico, Jackson ha potuto edificare una sua specialissima Hollywood in quel della Nuova Zelanda e, lasciatemelo dire, adesso la definizione di “isola felice” risulta più che mai appropriata. E se pensate che l’occhio del regista sia magico soltanto dietro il mirino della macchina da presa, scoprirete anche quanto sa essere prodigiosamente lungo come scopritore di talenti (ok, giusto, da non sottovalutare neppure la segnalazione di Mary Parent della Universal). Neill Blomkamp, giovane autore (sceneggiatore e regista) sudafricano inizialmente scelto da Jackson per la trasposizione filmica del videogioco “Halo”( progetto poi miseramente naufragato, tanto che dell’ Halo di Blomkamp rimangono soltanto tre suggestivi cortometraggi), tira fuori dal cilindro il pazzesco e inaspettato gioiellino “District 9”, largamente ispirato al corto “Alive in Joburg”, sempre dello stesso regista.

District 9” è la dimostrazione che il miglior cinema di genere, quello che abbina irresistibile intrattenimento a grandi contenuti, non è affatto morto, i talenti ci sono, basta soltanto coltivarli e dare loro il giusto credito! Si spera soltanto che questo film sia il primo di tanti e felici passi verso l’utopia produttiva Jacksoniana.

Non mi soffermerò più di tanto sull’alto valore allegorico della pellicola, sui suoi riferimenti alla politica di segregazione razziale (ancora più potenti e acuti perché vengono usate figure “altre”) che ha vessato la terra natia del regista, ogni considerazione a riguardo è già stata fatta e persino molto bene. Ma dirò che le immagini sono spesso e volentieri lancinanti, riescono a entrarti dentro lasciandoti quella sensazione di disagio altamente scomoda, riescono a riflettere sulla natura controversa dell’uomo usando la metafora del fantastico, un meraviglioso ed eccitante fantastico! Sono ancora troppo poche le pellicole di tale sorta, film che ci parlano della realtà con l’immaginazione e la fantasia. Non so, talvolta è come se si tendesse a reputare la fantasia un impiccio che toglie dignità e spessore alla considerazione alta, non parliamone poi se l’inventiva attinge da un ben determinato, semplice e riconoscibile patrimonio (in questo caso invasioni aliene et similia)!

Beh, per fortuna Blomkamp ci ha dimostrato che è possibile lavorare con oggetti elementari dell’immaginario fantastico per veicolare pensieri intelligenti e taglienti come trebbiatrici! Ho adorato il protagonista Wikus Van De Merwe (interpretato da uno Sharlto Copley convincentissimo in ogni fase del percorso drammaturgico), la quintessenza dell’antieroe, il degno prodotto dell’ambiente in cui vive e si muove: affettato, patetico, viscido, pavido, egoista, ipocrita (durante le perquisizioni nel Distretto 9 mostra un atteggiamento pacifico e quasi lusinghiero nei confronti degli alieni ma sotto sotto è intollerante e razzista tanto quanto chi si mostra tale senza abbellimenti…e ad un certo punto è perfino capace di una cosa crudele), ma anche suscettibile dinnanzi all’ingiustizia del vero orrore, insomma, potrebbe essere tranquillamente uno di noi!

Poi però il destino, e l’avidità efferata di chi sta più in alto di lui, ci mettono lo zampino e sconterà sulla sua carne i mali di quel sistema anche da lui assecondato. E patendo quella condizione forse sarà anche in grado di comprenderla. Uno sviluppo a dir poco impietoso, in cui gli impacciati atti eroici e generosi sembrano più frutto della rabbia per quell’umanità che l’ha rinnegato senza tanti complimenti.

Bella la caratterizzazione degli alieni, che sono dei poveri disgraziati costretti a vivere nelle peggiori condizioni. Occhio però, niente pietismi del menga, sono dei disgraziati quindi, nel bene e nel male, si comportano come tali. Fra gli alieni, ovviamente, spuntano Christopher Johnson e il figlioletto, delineati con grande delicatezza. Se proprio devo trovare un piccolo limite del film questo sta nel ritmo fin troppo frenetico con cui si succedono gli accadimenti. Si procede veramente spediti e qualche volta il regista perde quel respiro, quella calma morbida che ci permette di contemplare meglio le emozioni dei personaggi. Vabbè, pelo nell’uovo, se consideriamo che Blomkamp è comunque un esordiente e molti registi affermati se la sognano tranquillamente un’opera del genere.

Vogliamo parlare di effetti speciali? Incredibili, e lo sono ancora di più se pensiamo al budget di soli 30 milioni di dollari. Non faccio fatica ad affermare che gli alieni, un po’ crostaceo, un po’ scarafaggio, un po’ Zoidberg, sono quanto di meglio si sia visto fino ad ora in termini di personaggi CGI (in attesa di “Avatar” del buon Cameron, s’intende). Non solo, anche il modulo da combattimento usato da Wikus e l’astronave sono totalmente convincenti! Ringraziamo le compagnie coinvolte, Immagine Engine Design e Weta, e la supervisione di Blomkamp che, venendo dal mondo degli effetti speciali, ha garantito un occhio scrupoloso.

Che gran bel film. Non vi nascondo che prima della visione ero un po’ spaventato dal concetto di fondo che somigliava fin troppo a quello di “Alien Nation” (film del 1988 di Graham Baker con James Caan, Mandy Patinkin e Terence Stamp. Meriterebbe un bel commento su DTM!), fortunamente Neill Blomkamp è riuscito a seguire una direzione del tutto originale e se vi interessa un’improbabile storia noir-trillerosa piena di alieni con la testa a forma di cocomero sapete dove andare a cercare.

Neill Blomkamp, giovane talento proveniente dal Sud Africa, che ha girato un brillante, caustico film fantascientifico senza un budget faraonico ma tecnicamente curatissimo.

E in Italia? Noi continuamo ad andare in vacanza a Natale o ad esasperare con le solite pipposità del cazzo, peraltro lugubri nella loro quasi totale mancanza di reali ardori immaginifici.

httpv://www.youtube.com/watch?v=d6PDlMggROA