Uscito in Italia nella notte di vigilia di Halloween, il reboot del Vendicatore Tossico diretto da Macon Blair era, per me, uno dei titoli più attesi in assoluto.
Sono profondamente legato alle produzioni Troma, e da quando, a dodici anni, vidi per la prima volta The Toxic Avenger — dopo aver letto un articolo sul personaggio in fondo a un vecchio numero di Ghost Rider — mi innamorai di quel mondo fieramente scalcinato, malato, perverso, irresistibilmente divertente. Un universo che sembrava far arrivare fino a me l’olezzo di quei rifiuti inquinanti e mutageni che raccontava.


Era la versione senza limiti, completamente folle, delle Tartarughe Ninja; non un semplice guilty pleasure, ma una direzione precisa data al macabro e al disgustoso. La perfetta aggiunta al non meno figo pantheon grandguignolesco di Peter Jackson, Sam Raimi, Stuart Gordon e Frank Henenlotter.
Di questo reboot avevo letto buone cose, e nella mia mente aveva assunto ormai un’aura mitologica: ” è rimasto due anni nel congelatore — mi dicevo — sicuramente perché è troppo estremo, troppo folle per trovare una giusta collocazione. Dannata distribuzione cinematografica senza palle!”

Me lo ripetevo come un mantra. Come un mantra.

Ma erano solo le illusioni di un bischero, pronte a sgretolarsi una ad una. Il Toxic Avenger di Macon Blair è un film tristissimo, e mi ha lasciato addosso una malinconia inconsolabile. Subito, come una slavina cognitiva, ho realizzato che se un film resta così a lungo senza distribuzione forse è perché, semplicemente, è invendibile. Forse perché davvero non ha sostanza, né mordente.
E infatti non è mai divertente: possiede una dimensione grottesco-demenziale desolata e desolantissima; l’azione è orribile e gestita male; non c’è un personaggio di contorno che si salvi, e perfino il protagonista è una mesta macchietta retorica.
Poi, nel finale, quando vedi i due villain con quel make-up, oddiooddiosignoremio…
Dici: “Vabbè, ma almeno ci sarà un po’ di splatter!”
Macché: due scene in croce, peraltro mezze vanificate da un uso fetente del digitale.
È un gol mancato a porta vuota.

Poteva infierire, in chiave satirica, su un genere che davvero sta mostrando i primi segni di stanchezza. Poteva essere folle, sregolato, anarchico; poteva mettere in riga Deadpool, The Boys e Peacemaker (seconda stagione sublime, a proposito) e invece ci ritroviamo un peto addomesticato, che non solo non va da nessuna parte, ma che, anche quando prova a muoversi, ti fa rimpiangere che non sia rimasto immobile.
Una tristezza infinita.
In più, la progressione narrativa è ferraginosa, piena di tagli che rendono gli snodi sbilenchi e fastidiosi, se non proprio privi di senso.
Davvero: vale rivedersi qualsiasi film della saga, compreso l’ultimo, bellissimo Citizen Toxie — poverissimo, ma grondante di idee e affilatissimo.
Questo reboot, invece, non lo salvi neanche se lo infili in un barile di scorie nucleari.
Madonna, peccato.