Non so voi ma io, a parte qualche arena estiva, non frequentavo le sale da fine febbraio. Niente di meglio, per il ritorno, di un bel film apocalittico che narra di una guerra fra futuro e presente in grado di minacciare l’esistenza intera. Fino a poco prima del lockdown il tema apocalittico era una garanzia di incasso, oggi (dopo aver vissuto la minaccia pandemica, molto meno glamour e scoppiettante di quelle che hollywood ci offre per il grande schermo) forse non è un caso che l’unico grande e atteso titolo già in sala (dal 26 agosto) sia TENET, del celebre Nolan, un action scifi che dal primo all’ultimo secondo ti tiene attaccato alla sedia a suon di sparatorie, abnormi incidenti, balzi nel vuoto, suspense radicale, soundtrack sempre presente ed importante e colpi di scena talmente frequenti da divenire la normalità narrativa. Motivazione narrativa di tutto ciò? Evitare la terza guerra mondiale. Chiaro.

TENET è un film che andrei a rivedere tranquillamente, è energico ed allo stesso tempo psicologico, è straniante ma allo stesso tempo coinvolgente, non è sexy, quello no, è però esplosivo, nel senso più militare del termine. Ora chi non ha voglia di approfondire può anche smettere di leggere, riguardarsi il trailer (che ho visto una dozzina di volte in sala prima della proiezione) e cercare una sala dove lo proiettano, portarsi una mascherina e spendere sti 8 euro. Gli altri possono proseguire con la lettura e ricordarsi una parola: TENET. Vi aprirà delle porte, ve le chiuderà, qualcuna esploderà, altre si smonteranno da sole, ma in realtà sono state montate, è solo un problema di percezione derivato dal rovesciamento del principio di causa ed effetto.

Nolanland

Nolan cura regia, soggetto, sceneggiatura e produzione. Forse Tenet è il punto d’arrivo (non un punto d’inizio come per il protagonista interpretato da John David Washington) dell’universo nolaniano per come lo conosciamo ora, a suggello di una prima parte di carriera di cui, quadro dopo quadro, vediamo in Tenet riproposto il mix di action e sci-fi presentato sotto forma di narrazione ultraframmentaria e sfuggente, la complessità della sceneggiatura di quest’ultima prova riporta addirittura alla memoria li mosaico di Memento. Il letto sonoro è, in ossequio alla logica del “film concerto” (portata da Nolan alle estreme conseguenze), presente ovunque. Ludwig Göransson è il vero coprotagonista nella realizzazione del film, non a caso si parte con un concerto e con un passaggio di montaggio apprezzabile in cui la musica da over diviene parte della scena, interrotta bruscamente dall’irruzione di un gruppo terroristico a richiamo non velato dei fatti del teatro Dubrovka. Dalla prima scena enigmatica in poi è un susseguirsi di fughe, suspense, labirinti fisici e mentali, esplosioni. Tante esplosioni, non troppe.

Sin dai primi lavori Nolan mi è sembrato un De Palma meno cinefilo, meno rigoroso, meno europeo, più nervoso, più cupo e più ossessivo. La gestione della suspense in TENET merita menzione particolare e ricorda come tensione (non come stile, molto differente, è anche una questione generazionale) i momenti migliori di De Palma.

Gli abitanti di Nolanland
Il cast è ben composto ed assemblato, la recitazione nelle scene adrenaliniche (quindi l’80% di queste) sembra adeguarsi bene ai corpi dei protagonisti di cui sia Washington che Pattinson (si, proprio lui, quel fighetto di Pattinson) offrono una rappresentazione convincente. Frequente è il quadro sugli occhi del protagonista, su cui il film ha il centro e lo spettatore lo specchio. Il protagonista è intento come noi a capire passo dopo passo cosa sta succedendo.  Come noi capisce poco alla volta, poco, poco sostenuto da pause in cui riflettere. Ci troviamo sia al di qua che al di là dello schermo a vivere una realtà poco chiara ma allo stesso tempo veniamo trasportati negli eventi senza che la complessità ci faccia provare spaesamento, cancellato dalla vertigine dell’azione. Su nessun altro personaggio siamo in grado di disegnare un profilo chiaro e netto, nel gioco delle parti stile realpolitik chiunque può essere dalla parte giusta (a parte il cattivo che solo sul finire si sforza per fornirci dei dubbi sul suo personaggio). Come in un videogioco, come al luna park, come al cinema nel 2020 davanti ad un film di Nolan: la montagna russa parte subito prendendo una discesa ripidissima e da lì in poi è tutto un susseguirsi di curve e giri della morte a grande velocità. Dove sono in questo momento? Boh! Sono ad ascoltare Branagh (il cattivone), il più shakespeariano degli attori hollywoodiani viventi, recitare Walt Whitman.
Viviamo in un mondo crepuscolare

TENET è un palindromo, ovvero una parola che sia partendo dall’inizio che dalla fine si legge allo stesso modo. La parte scifi del film associa quel tipo di caratteristica al tempo, rendendo possibile l’inversione temporale, il viaggio nel tempo (ne vediamo alcuni che coinvolgono brevi lassi di tempo ma ne sentiamo nei dialoghi di più lunghi) e la trasformazione della realtà in cui si scontrano le due opposte direzioni (questo è l’apporto più originale che il film regala al cinema, luogo in cui il tempo e lo spazio vengono continuamente stressati, rovesciati, sovrapposti, segmentati). La scoperta di tale fenomeno, la possibilità di utilizzarlo e la competizione nel suo utilizzo crea un mondo inevitabilmente militarizzato, poco si è approfondito sulle implicazioni sociali del giocare col tempo ma di sicuro si è sottolineato quanto importante diverrebbe il controllo di questo, tanto da scatenare una guerra in cui si fronteggiano persone disposte a tutto pur di avere la meglio, molte di queste consapevoli solo di una parte minima del reale contesto.

Il salto temporale torna sul grande schermo con tratti apocalittici a dire il vero piuttosto simili alla serie tv “12monkeys”, un anno abbondante dopo il viaggio del tempo di Avengers Endgame che conclude un ciclo da decine di film con un artificio narrativo che ci fa pensare che, dopotutto, dopo tutti gli eventi intercorsi precedentemente, niente è da prendere troppo seriamente perché dietro l’angolo c’è sempre la possibilità di tornare indietro nel tempo, azzerare e ripartire. Pericoloso sto giochetto sul tempo a lungo andare. Non vinciamo mai definitivamente, non perdiamo mai definitivamente. Al cinema, da sempre, niente è definitivo, con buona pace del principio di verosimiglianza e delle regole classiche di Hitchcock o, per i cinefili più menosi, di Bazin. I morti ricompaiono, i vivi svaniscono, ogni trama è possibile (purché venda un bel pò di biglietti). Sei morto sventrato in mille pezzi tutti carbonizzati e poi te ne stai dopo 15 minuti a prendere un gelato in centro a Caronno Pertusella. TENET è più rispettoso degli eccessi narrativi appena descritti, una linearità sembra conservarsi quasi sempre, come in Pulp Fiction, il salto temporale possiamo dire non diventa farsa. La razionalità, meglio la verosimiglianza, è importante, senza dubbio, da quella dipende buona parte della qualità del prodotto. In TENET ciò che abbiamo visto e su cui abbiamo riflettuto, proprio per l’incertezza e la debolezza del presente, diviene labile e oggetto di revisioni, espansioni, inversioni, non diventa comica. Diventa serializzabile ma pure enigmatico, oscuro, devo dire non sempre coerente (ma servirebbe un’altra visione per verificare meglio almeno due episodi).

Quindi siamo davanti ad un film incomprensibile? Ma va! La linearità è comunque preservata ed il film ha un inizio, uno sviluppo ed una conclusione. Le spiegazioni lungo il film dei passaggi meno chiari non scarseggiano e l’alone di oscurità collegata ad altri passaggi in fondo è un valore che ci induce a rivedere il film per accedere ai livelli narrativi più profondi e per fantasticare su mondi possibili.

Nelle sale…
In un epoca di limitazioni nell’accesso alle sale e di minacce invisibili, il confine fra prodotto da sala e serie tv sembra al momento essere rappresentato dalla maggior cura dei dettagli del primo, derivata dall’utilizzo di maggiori professionalità, dalla capacità di realizzare scenari sorprendenti e dal maggior budget in rapporto ai minuti. Oltre ovviamente al tema collegato alla visione, collettiva nel primo ed individuale nel secondo. Ed al fatto che il grande schermo rimane sempre molto più…..grande! E’ innegabile però che, data questa situazione, il pubblico sia sempre più disponibile a cercare un bene sostituto rispetto al cinema, bene già presente e potente sul mercato dell’entertainment sulle piattaforme digitali o sui canali televisivi tradizionali. Anche per questo, credo, Nolan e soci han deciso di uscire in sala e prendersi il rischio di una probabile perdita o minor profitto (consideriamo il costo di 200 min di dollari…..), rischio inferiore rispetto a quello dell’abbandono delle sale per assenza di titoli. Davanti all’Odeon, in Piazza Duomo a Milano, il cartellone degli spettacoli di giornata raccontava: Arancia Meccanica, Inception (festeggiamento del decennale…..un altro film vecchio che non ricordo e Onward. Morale: non ci sono film in sala mentre le uscite delle serie tv vanno avanti quasi regolarmente. Consideriamo poi che esiste una forte promiscuità fra i due mondi, deduzione: andrete tutti a vedere questo film perché merita attenzione e perché…è l’unica cosa presente in sala. Per stare a casa c’è sempre tempo!