Mi sono sentito un po’ come una puttana ieri notte quando sono uscito dal cinema dopo la visione di Song to song, l’ultimo film di Terrence Malick. Mi sono sentito così perché dopo avergliene dette di tutti i colori, dopo aver urlato, dopo aver fatto scenate su Facebook e aver dichiarato alle mie amichette che era finita, che non provavo più niente per lui, dopo tutto questo mi è bastata una visione di un film che non mi ha nemmeno più di tanto convinto per tornare tutta struccata da lui. Come una puttana. Come una stupida che continua a tornare tra le braccia di un uomo che sa solo usarla.
Perché in fondo Song to song non mi è piaciuto tanto. O forse sì. L’innamoramento evidentemente ormai non più corrisposto mi confonde.
Nel 2011 Terrence aveva sfornato The tree of life: un capolavoro devastante, forse il suo lavoro più importante, la punta di diamante della sua clamorosa filmografia. A quel punto tutti ci aspettavamo che tornasse in isolamento per un po’ di anni a preparare qualcosa di nuovo. Invece no, forse la demenza senile o forse ha battuto la testa, non lo so ma in questi 6 anni ha tirato fuori altri 3 film (+1 Voyage of Time che però è un progetto molto molto vecchio). Da To the wonder a Song to Song passando per Knight of cups il buon Terenzio non è riuscito a voltare pagina dopo The tree of life ed è rimasto rinchiuso, rincicciato, a mordersi la coda girando per la quarta volta ormai lo stesso film. Perdendo film dopo film il messaggio, e il pensiero alla base su cui far ruotare le sue vicende che così bene aveva gestito nel film con Brad Pitt e Jessica Chastain. Si è creato una gabbia, ha raggiunto l’apice della perfezione formale, della perfezione d’immagine e ha perso il controllo sul senso. O forse no.
In Song to song cerca di recuperare qualcosa, di mettere su una trama un pochino più strutturata (oh state calmi è sempre destrutturata, ma un po’ meno rispetto al solito Malick) ma non riesce a dare una marcia in più a questo ultimo film. Di nuovo un cast di bellissimi con Rooney Mara, Michael Fassbender, Natalie Portman, Ryan Gosling e un pizzico di Cate Blanchett che non fa mai male, siamo a Austin in Texas, la città natale di Terenzio, e i quattro protagonisti si struggono nel cercare di capire, di canzone in canzone, song to song, l’amore. Come funziona, perchè fa così male e come mai è così complicato. In questo ultimo film completa il distaccamento progressivo dalla fede e dal divino iniziato con To the wonder ed è forse questo, con il senno di poi il senso di questa trilogia post The tree of life, l’abbandono della fede come tema centrale e l’abbandono progressivo della fede e del divino da parte dei protagonisti di questi film ha coinciso con una parabola discendente di senso. Non sono mai stati così soli i personaggi di Malick come in Song to Song, uomini e donne sole, che vogliono darsi un senso da soli, che vogliono farsi da soli e non possono, non ci riescono, l’uomo non basta a sè stesso. La grandezza di The tree of life era stata proprio evidenziare il clamoroso effetto sulla vita dell’uomo, di quella che il personaggio della Chastain chiamava “La via della grazia” anche di fronte all’indicibile tragedia della morte di un figlio. I protagonisti di Song to song vanno invece dietro alla “via della natura” e sono così irrimediabilmente soli, vogliono amore ma lo cercano nel posto sbagliato, e percorrono una via che non può corrispondere al cuore.
Forse è questo, guardando nell’insieme, il senso e il messaggio che Malick ha dato ai suoi film da dopo The Tree of life. O forse no, non potremo mai saperlo.
Ora pare che questa corrente sia conclusa e il prossimo anno arriverà Radegund, in cui Malick torna nello scenario della Seconda Guerra Mondiale e che forse aprirà un nuovo corso. O forse no.
Ma al di là di tutto, il cinema ha tanto bisogno di Terrence Malick, anche con film imperfetti come Song to Song, anche solo con la forma, anche solo con le immagini, perfette, di cui ogni fotogramma andrebbe incorniciato. Il cinema ha bisogno di Terrence Malick, ha bisogno di uno che continui a fare un certo tipo di cinema, che si opponga al fracasso e alla confusione che imperversano. Abbiamo bisogno di fede, perché guardare Malick è un atto di fede. E anche io, peccatore, dopo averlo imprecato, insultato e rinnegato non posso far altro che tornare da lui.
Perché i film di Malick sono più film, perché i colori di Malick sono più colori, i verdi più verdi, i rossi più rossi, gli attori più attori, i belli sono ancora più belli, la luce è più luminosa e la forma è più forma.
Ancora una volta, non avrò altro regista al di fuori di te.