Non c’è una vera e propria regola, ma se andiamo a rivedere negli almanacchi del cinema, il tempo che trascorre tra un primo film e il suo sequel sembra variare tra 2 e i 4 anni. Quattro passano tra il primo Ritorno al Futuro e il suo seguito, sono quattro anche per Matrix e tre per Rocky. Ad alzare la media ci pensa James Cameron. Sono 7 gli anni che trascorrono tra Terminator e Judgment Day, 7 anche per Alien 2 (il primo era di Ridley Scott) ma per il suo Avatar, Cameron, ha deciso di strafare, altro che regola del settimo anno, si passa a 13, non un numero fortunatissimo negli Stati Uniti.
Varco la soglia della sala per tornare su Pandora con un dubbio atavico che mi perseguita: qual è il motivo di questo ritorno? Economico? Stilistico? Disney ha trovato una valigia con 350 milioni di dollari in uno scantinato di Hollywood? La voce off di Jake Sully (doppiata da Francesco Pezzulli, aka Leonardo Di Caprio) rompe i miei ragionamenti, una voce che, come nel primo capitolo, pedissequamente ci accompagna nel mondo immaginato da James Cameron. E’ passato qualche anno, il nostro protagonista ha figliato e ha figliato anche l’Avatar di Sigourney Weaver, nessuno sa come e perché. Da qui in poi il mantra del film sembra un enorme e infinito MOTS, More Of The Same. Senza fare spoiler vi posso dire che a parte un brevissimo prologo, la struttura del film ripete quasi in ogni suo passaggio le avventure del primo capitolo: nuovo luogo, nuove tribù con cui fare amicizia, nuovi animali da addomesticare, vecchi nemici da cui difendersi, il tutto con il doppio taglio genitori/figli ad allungare il brodo (e la pellicola, che dura 3 ore e 10 minuti. Pausa bagno inevitabile).

Torna anche il 3D, questa volta in un panorama cinematografico che sembra aver definitivamente rinunciato alla terza dimensione. Una rarità i registi che ancora girano con camere “native” mentre sono la norma le case di produzione che scelgono di convertire in 3D le pellicole dopo la fine delle riprese. E questo elemento è secondo me fondamentale per giudicare il lavoro di Cameron. Diciamoci la verità, se non ci fosse stato il 3D Avatar probabilmente avrebbe di poco superato il miliardo di incassi assestandosi si, tra i successi dell’anno, ma per poi finire nell’affollato mondo della top 50 dei film più amati al botteghino. Attenzione non voglio sminuire l’opera di Cameron che rimane tecnicamente ineccepibile e ancora molto attuale (la CGI regge benissimo) ma trovo ci sia una strana distorsione intorno al primo capitolo di questo film e i 12 anni che ci sono voluti per riportarlo al cinema sembrano confermare i miei dubbi: Avatar è sparito dai radar dopo poco più di 3 anni dalla sua uscita, un po’ per la difficoltà di ripetere l’esperienza cinematografica 3D in ambito casalingo, un po’ perché il carisma dei suoi personaggi non ha mai davvero sfondato il muro della pop culture. La regia di Cameron in questo secondo capitolo è solida. Certe volte si tende a scordarlo, ma un film del genere è un’opera mastodontica, con scene d’azione incredibilmente complesse e spettacolari che solo un maestro del cinema può portare a casa senza sbavature. In questo secondo capitolo il regista sembra ritrovare il suo forte legame con l’acqua con scene che sembrano proprio omaggiare pellicole come Titanic o The Abyss. Per quanto si voglia bene ai vecchi personaggi di Avatar, si fa fatica a costruire nuovi affetti con i giovani, i teenager, che sembrano esistere più come base dei nuovi capitoli in uscita che per costruire una solida narrazione drammatica. La natura rimane, come nel primo capitolo, un personaggio imprescindibile di Avatar 2: la sua sofferenza è pari a quella dei protagonisti, e il rapporto che li lega, a tratti commovente, rimane centrale nel racconto.

I 190 minuti di film (non necessari a mio parere, sono quasi 40 minuti in più del primo capitolo che però doveva “settare” il mondo di Pandora) si lasciano guardare ma alle volte è impossibile trattenere gli sbadigli: troppe le ripetizioni narrative, troppi i momenti in cui il manuale dello sceneggiatore sembra essere stato seguito alla lettera. Avatar 2 sembra un primo capitolo, un reboot travestito da Sequel, che prova a sfidare il botteghino (a quanto pare serviranno 2 miliardi di dollari per evitare il fallimento) senza il vantaggio tecnologico del 3D e senza l’hype che aveva preceduto l’uscita del primo film. In qualsiasi altro caso direi che è una sfida persa, ma con Cameron, si sa, le sfide impossibili sono solo problemi a cui non si è ancora trovata una soluzione. Nota tecnologica: Avatar 2 propone un doppio registro filmico, si alternano infatti momenti HFR 48fps (high frame rate, il doppio dei classici 24 frame al secondo) e momenti 24fps. Per quanto sensato (l’alto numero di frame rende le immagini veloci meno fastidiose e sfocate) non si spiega la scelta di diminuire i frame per gli shot semi fermi: il risultato è un senso di straniamento per cui le scene a 24 sembrano improvvisamente scattose, ricordando quel fastidioso fenomeno videoludico denominato “stuttering”, la perdita di frame che va a inficiare la fluidità dell’azione.