Uscendo dalla sala (finalmente si torna in sala con un’esperienza realmente soddisfacente) si ha la sensazione di aver assistito a quello che potrebbe essere l’apice dell’opera di James Gunn. Bisogna concordare con le tante sirene del momento: il suo The Suicide Squad è un film tremendamente riuscito, ma così tanto che dinnanzi al risultato raggiunto si è quasi commossi.
Temevo, in parte, questo film: Gunn lo aveva pensato e poi scritto subito dopo il temporaneo e demenziale licenziamento da parte della Disney. Pareva quasi una rivalsa rabbiosa quella di abbracciare la distinta concorrenza e, vagheggiando e vaneggiando come mio solito, mi immaginavo in quale condizione emotiva potesse dedicarsi a questa nuova prova, peraltro in un franchise che aveva diversi punti di contatto con i Guardiani della Galassia della Marvel, e tutti falliti nel primo e produttivamente tormentato capitolo di David Ayer. Insomma, mi dicevo che forse doveva concedersi più tempo per smaltire la delusione subita e lavorare così più sereno. Tutte cazzate.
Non solo Gunn ha goduto della totale libertà creativa datagli, ma ha colto l’occasione per ribadire che era, è e resterà un autore formatosi nella fucina della Troma. Ha così realizzato un’opera personalissima, seppur ad altissimo budget, e senza compromessi. Folle, estrema, esilarante, toccante.
Di fronte a questo film anche l’esito magico dei due Guardiani della Galassia sembra un timido refolo d’incantesimo.


Siamo in territorio di rivisitazione dissacrante del supereroe, pretesto anche per fare un po’ di satira politica e sociale? Assolutamente sì, è infatti non è questo l’aspetto più gustoso dell’opera, soprattutto dopo i tanti prodotti analoghi che sia al cinema che in televisione stanno imperversando. Quindi chi non ama i supereroi e la loro decostruzione votata all’eccesso (alcuni direbbero ” giusto per spararsi le ultime cartucce”), difficilmente griderà al miracolo? Probabilmente sì, ma io consiglierei lo stesso di abbandonarsi alla visione di questo film.
Ciò che colpisce, infatti, è l’immenso lavoro fatto a livello di tocco sensibile. Il tocco sensibile è quel modo particolarissimo di sfiorare i personaggi e di entrarci in profondità grazie a momenti magari brevi ma intensissimi, che sbocciano grazie ad un mix di eccellente scrittura e messa in scena ispirata.
Tutto il film è puntellato da momenti così, alcuni dei quali sorprendenti per genialità realizzativa. Così questo The Suicide Squad è soprattutto un viaggio in un autobus sgangherato dove i ricordi si imprimono sui finestrini; è uno squalo antropomorfo, in un primo piano bellissimo ed eloquente, che osserva di sfuggita le vite degli altri, oppure che gioca con delle creature marine che gli rifanno il verso; è la visione ossessiva della madre di un povero lunatico dai poteri ridicoli e pericolosi; è l’estasi romantica in slow motion tanto buffa quanto lirica della miglior Harley Quinn mai rappresentata (scordate le dimenticabilissime versioni precedenti). La pellicola è piena di questi tocchi, e ce n’è uno o più d’uno per ogni personaggio.
È un film denso, c’è dentro molto roba, ma ha una tenuta solidissima e non spreca una scena. Tutto serve, tutto funziona, tutto si incastra e gira bene nel meccanismo minuzioso di James Gunn. Eccellenti dialoghi, eccellentissima azione splendidamente coreografata, eccellente utilizzo dei piani temporali grazie al quale il racconto si frammezza in modo ingegnoso e coinvolgente.
Poi ciò che più mi piace: l’ottovolante tonale, dove il demenziale si mischia all’intimismo, dove il ridicolo si scioglie nel lirismo e nell’immaginifico, dove l’idiozia diventa poesia, il tutto viceversa. Aaaaah. Non c’è cosa peggiore dei sapori proposti dentro compartimenti stagni, e qui Gunn attenta continuamente a questa orrenda colpa.


Voglio poi spendere due parole sull’estetica e sul visivo offerto: qui ci sono idee forti, espresse in modo ancor più forte, qui c’è un gusto estetico incontestabile che Gunn, di film in film, mostra con sempre maggiore ispirazione. Qui lo sceneggiatore validissimo diventa creatore di immagini potenti foriere di grande narrazione. Ad oggi, con questo film, ha sancito di essere il migliore sulla piazza assieme ad un Peter Jackson, anche per l’uso in chiave di sublime visuale dell’effetto speciale in CGI.
Tiro in ballo solo una scena: il bagno dentro una pupilla gigante. Grande cinema, scena magnifica iper evocativa da incorniciare, il miglior uso della tecnica moderna a disposizione di una vera e propria visione artistica e che fa capire quanto l’immaginario di Gunn si sia nutrito anche di tante suggestioni macabro-mostruose-sensuali di matrice giapponese, che vanno dal Ero guro al tentacle rape. Lo schifoso, il bizzarro e l’orrendo capace anche di divenire matrice del meraviglioso (e di nuovo l’ottovolante tonale).
Grazie James Gunn, m’hai fatto tornare al cinema nella gioia profonda (a differenza dell’ultima volta con Tenet) e adesso tutti ti attendiamo con la serie dedicata a Peacemaker e con la conclusione dei tuoi Guardiani della Galassia. Chissà se riuscirai a fare ancora meglio.