Quando si parla di librogame e giochi di ruolo si entra sempre nel campo più «puro» della nerdaggine. Lo so, sembra un discorso da snob, ma dobbiamo esser sinceri con noi stessi.
Videogame e film, per quanto belli e segnanti, sono sempre stati alla portata di tutti. Ma di gente che negli anni 80/90 si perdeva in complicate tabelle e libri a bivi per creare mondi di pura fantasia non ce n’era poi tanta. Almeno nel mio paesello.
Abbandonato fin da subito D&D (che potei riprendere solo qualche bell’annetto dopo) a causa del mio esser l’unico «scemo del villaggio», la restante alternativa rimanevano i mitici librogame. E l’unico vero librogame era LUPO SOLITARIO!
Ora serve un piccolo disclamer: stiamo indubbiamente parlando della collana più famosa anche se (sì lo sappiamo) non è la migliore in assoluto in termini di gameplay. Ma delle altre parlerò in seguito, ok?
Un librogame era un gioco particolare. Ovviamente l’aspetto era quello del classico libro cartaceo e, per iniziare, servivano solo una matita ed una gomma. Dopo una breve introduzione, in cui veniva spiegato che si impersonava Lupo Solitario l’ultimo dei cavalieri Ramas scampato al massacro dei compagni ad opera dei Signori delle Tenebre, il giocatore veniva invitato a compilare una scheda del personaggio. Questa era una versione semplificata di quelle dei giochi di ruolo, conteneva i punti ferita e l’inventario (con le armi) nonché l’elenco delle tre «arti Ramas» che poteva scegliere. Queste erano abilità speciali con varie funzioni, alcune come la Scherma o lo Psicolaser facilitavano i combattimenti, mentre altre come il Mimetismo venivano usate in determinati punti dell’avventura e ne facilitavano il proseguimento.
Finita la scheda si iniziava il libro vero e proprio. Questo era diviso in tanti piccoli paragrafi numerati, alla fine di ognuno era indicata una decisione da prendere coi relativi paragrafi a cui rimandavano le varie decisioni
Ad esempio si poteva trovare un testo del genere: «Se vuoi inoltrarti nella palude vai al 342. Se vuoi prendere il sentiero vai al 189.» Una scelta sbagliata in determinati punti del libro poteva ovviamente portare ad uno dei tanti paragrafi in cui si veniva allegramente uccisi. In quel caso si ricominciava l’avventura dall’inizio (oppure si «barava» e si tornava al paragrafo precedente, se si aveva avuto l’accortezza di segnarlo). Nel corso della lettura si incontravano personaggi decisamente ostili con cui si interagiva nell’unico modo concesso: menandoli. Una serie di lanci di dado (a 20 facce) decideva i i danni dei colpi subiti (in base ad un rapporto matematico). Venivano fornite le statistiche dell’avversario e se si riusciva a ridurre a zero la sua resistenza si vinceva. Nel caso sia stata la nostra resistenza ad azzerarsi si moriva e si ripartiva. In mancanza del dado a 20 facce (che in effetti era da «pro») si poteva usare una tabella posta alla fine del libro su cui si puntava a caso la matita ad occhi chiusi (e pure li si barava!).
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Proseguendo col gioco si potevano recuperare i punti persi e si trovavano oggetti magici, da trascrivere nell’inventario, ed armi magiche che aumentavano i punteggi.
Se si riusciva a completare il libro si veniva premiati con un paragrafo finale di vittoria (che credevate?). Ma era una vera soddisfazione, un mondo immaginario che si costruiva man mano che l’avventura continuava. Nei libri successivi (contenenti altre avventure) si potevano conservare oggetti ed armi raccolti ed aggiungere un’Arte Ramas all’elenco. Ogni tot di volumi, inoltre, si «passava di livello» e venivano introdotte nuove arti più potenti (le Ramastan ad esempio).
E così, di volumetto in volumetto, si esplorava il mondo fantasy di Lupo Solitario.
Ci si esaltava con poco, forse, ma i ricordi che quei libretti mi hanno lasciato sono molto belli. Certo, dopo vennero i videogiochi (primo tra tutti Final Fantasy) ma erano tutte cose «disegnate da altri» mentre il mondo dei librogame era solo mio.