Di fronte ad un’opera del genere non posso che restare ammirato e stupefatto. Ogni sequenza è una dimostrazione di maestria registica e il grado di meraviglia visiva è costantemente altissimo (superbo il lavoro scenografico e fotografico, che trasfigura la Parigi del 1931 e l’interno della stazione centrale in luoghi ammantati di atmosfere cangianti, in un barocco sogno irreale e fantastico).

Lo sguardo viene investito da una marea di dettagli bellissimi e minuziosi che abbattono la barriera dello schermo e scandiscono la mirabolante profondità di un 3D mai così espressivo ed accurato. Vi cito solo un dettaglio, così da farvi capire l’attenzione quasi ossessiva che Scorsese ha investito per sfruttare al meglio la tecnica stereoscopica: sovente ogni personaggio viene incorniciato da una linea sottile di luce riflessa, che ritaglia le figure in un modo meraviglioso e le fa spiccare dallo sfondo. Non solo un accorgimento dell’illuminazione che ha lo scopo di aumentare l’illusione della profondità ma anche dimostrazione eloquente di quanto il 3D, affinché si dimostri vincente, sia subalterno ad un approccio studiato dei metodi cinematografici tradizionali (e mi riferisco anche alla disposizione puntuale ed armoniosa degli oggetti e dei corpi nello spazio). Certo, son cose che in teoria si sapevano già, ma in pratica ci voleva un maestro della Settima Arte, profondo conoscitore di poetica e tecnica, per spostare l’asticella più in alto e mostrarci nuove potenzialità di questa tecnologia contemporanea (o meglio, evolutasi in tempi contemporanei).

Grande Martin Scorsese. Il valore di un grande regista, oltre dalle abilità intrinseche che dispone, si vede anche dalla vivacità con cui si avvicina al nuovo, si nota quando, cercando di farlo proprio, riesce a creare qualcosa di speciale.

Beh, più o meno quello che facevano i grandi pionieri del cinema, più o meno quello che fece Georges Méliès, vero e proprio fondatore del cinema fantastico (e dell’effetto speciale), del cinema come espressione dell’insolito e del meraviglioso. Tutto Hugo Cabret può essere considerato come un omaggio sentito e commosso verso quell’artista delle origini (stupende le scene che mostrano Méliès – bravissimo Ben Kingsley che lo interpreta, a proposito – al lavoro nel suo “castello di vetro” e quelle che rievocano il fondamentale “Le voyage dans la Lune” ), nonché una riflessione sull’integrità della magia cinematografica, che deve essere preservata e continuamente favorita, soprattutto oggi che il mezzo permette di sondare in profondità visioni che fino a ieri stazionavano nella faglia dell’impossibile.

E’ bello perché Scorsese fa un po’ quello che fa il giovane personaggio del suo film. Aggiusta, mette a posto gli ingranaggi, ridà onore, forza visiva ed emozionale, divertimento pieno e gustoso ad uno spettacolo pensato per tutti e realizzato in grande con le tecnologie più all’avanguardia. Una lezione tutt’altro che scontata, oggi più che mai.

Vogliamo trovare dei punti deboli, tanto per rompere le uova nel paniere? Ok, il film ha una durata interessante (127 minuti) e in qualche passaggio (pochi, però) ho avuto come l’impressione che il racconto si sgonfiasse di energia coinvolgente. Non ho ancora capito se è perché Scorsese mostrava un po’ di difficoltà nel dirigere i giovani attori o perché ne era talmente innamorato da mettersi a contemplarli.

Non so, e se anche fosse un piccolo cono d’ombra il livello generale l’ho trovato così soddisfacente e abbagliante che mi son tolto gli occhialini e son uscito dalla sala pensando “grazie Martin per il bel gioiello che hai girato!”

httpv://youtu.be/xqZcGJq6NA4