Anno Domini 2018. Sono passati 20 anni dall’uscita di videogiochi del calibro di Grim Fandango, Metal Gear Solid e MediEvil, pietre miliari della storia videoludica; sono volati 10 anni dall’uscita nelle sale cinematografiche de Il cavaliere oscuro, capolavoro in grado di rivoluzionare il concetto di film a tema supereroi, alzando l’asticella ad un livello superiore per tutti i film di categoria e che a tuttora non viene superata; per non parlare dei 5 anni che ci separano dallo struggente finale di una delle migliori serie di sempre, la conclusione delle avventure del professore di chimica Walter White in Breaking Bad. Se tutti questi prodotti vi sono più o meno familiari, se di citazioni come queste sareste in grado di farne a bizzeffe, potete aspettarvi tranquillamente che al vostro prossimo compleanno un gufo vi porti una lettera con su scritto:

Siamo lieti di informarla che Lei ha diritto a considerarsi ufficialmente un Nerd.

Una parola sempre più utilizzata, magari abusata, troppo generica forse, di cui in tanti non sanno dare un significato ben definito e chi lo fa non riesce a farlo appieno. Se per esempio girando online si cerca una definizione, se ne può trovare una molto interessante da Garzanti Linguistica:

“Nell’uso giovanile, giovane dall’aspetto goffo e insignificante, che sublima la propria condizione con una grande abilità e passione per computer e videogame | studente che ottiene buoni risultati grazie all’ostinata applicazione, ma non brilla per intelligenza; secchione”

Sicuramente non una definizione totalmente lusinghiera, nata su stereotipi risalenti a decadi fa, ben lontana da questi ultimi anni e dal significato attuale. Ma come questa definizione se ne trovano molte altre, che danno a questo termine solo una accezione negativa. Allora forse una definizione più corretta, forse semplicistica e fin troppo sentimentale, potrebbe semplicemente essere:

I nerd sono persone che hanno una forte passione per tutto ciò che può raccontare una storia o che può liberare la creatività.

Un significato più romantico, smielato, ma decisamente più veritiero di quello che da anni racchiude sotto questo nome tutte quelle persone etichettate come disadattate sociali, con occhiali spessi e gusti ambigui. A conti fatti si può dire che effettivamente serie tv, cinema, fumetti, videogiochi e giochi in generale rispecchiano fedelmente una definizione di questo tipo, facendo di questa spiegazione una non poi così lontana dalla realtà.

Se questa definizione risulta valida, Masterchef rientra pienamente in tutto ciò.

Sembra una teoria confusa e vaneggiata, ma riflettendoci un secondo, Masterchef rientra a pieno titolo nella categoria di prodotti per nerd. Basta effettivamente fare alcune considerazioni, più o meno condivisibili, per arrivare a conclusioni che rappresentano qualcosa di più che semplice teorie, ma dei dati di fatto; innanzitutto non bisogna necessariamente essere esperti di cucina, né tanto meno essere obbligatoriamente appassionati, ma anzi, probabilmente sarà lasciandosi avvolgere dalla trama delle varie prove che si vorrà diventare improvvisati chef.

Perché in effetti, più che un talent show, è al pari di una serie tv con tanto di finale di stagione, mai scontato. Ogni episodio avvicina sempre di più lo spettatore ad identificarsi con uno o più prediletti, esattamente come accade nei telefilm che siamo abituati a seguire, merito anche della varietà di caratteri differenti che ogni anno riescono ad accedere all’élite dei 20, appassionandoci oltre che al loro talento, anche alle loro faide personali e alle loro crescenti rivalità.

Come nella classica sceneggiatura in tre atti, tipica di ogni opera teatrale e cinefila, c’è l’introduzione dei personaggi, con protagonisti e antagonisti (che variano a seconda dello spettatore che guarda), seguito dallo scontro e la lotta, dove spicca anche la figura del mentore dell’avventura (uno su tutti Antonino Cannavacciuolo, che sembra a tutti gli effetti l’Hagrid della situazione) ed infine la risoluzione della crisi, dove il conflitto finisce e un vincitore torna a casa col suo trofeo.

La modalità di eliminazione diretta, episodio per episodio, rimanda ad una sfida tra gladiatori con mestoli al posto di spade, la lotta per il potere, gli intrighi e i tradimenti, degni di Xena e colpi di scena ad alta tensione, non molto distanti da quelli delle nozze rosse di Game of Thrones, forse con meno sangue, anche se a volte non manca neanche quello.

Ogni episodio ci lascia con l’hype per quello successivo, lasciandoci in balia di idee e supposizioni per chi sarà il prossimo a lasciare la competizione, merito di un montaggio televisivo che ogni volta ci lascia intravedere un giudice che severamente riprende uno dei concorrenti, neanche fosse il trailer di un film che aspettiamo da anni.

In conclusione, Masterchef è tante cose, una specie di fantasy di pentole e fornelli.

Così, come per i migliori telefilm, non ci resta che sperare in una prossima stagione dove immaginare una sfida al miglior branzino tra tutti i personaggi più insoliti, fantasticando su chi possa essere il miglior cuoco, certi però di una cosa sola: Sean Bean (a.k.a Boromir, Ned Stark) sarebbe sicuramente il primo ad essere eliminato.