Episodio 5: Il Rifugio

Dovemmo raccontare un gran mucchio di balle. Zack sembrava disturbato quanto me dalla cosa ma riuscì ugualmente ad esser credibile. Ai miei genitori disse che mi voleva portar con lui in un’escursione a Passo Cogola (una stupenda, e lunga, camminata panoramica) e li convinse.

Fu così che quella domenica mattina Zack si presentò a casa mia in una sgangherata Fiat Uno color vinaccia. Rimasi un po’ deluso dal mezzo di trasporto, nondimeno inforcai lo zaino e salii a bordo.

«Dove hai recuperato questa macchina» gli chiesi.

«È mia!» rispose «La ho comperata usata un anno fa»

Evidentemente si accorse della mia perplessità e quindi si spiegò:

«A volte è importante avere un mezzo di trasporto che non dia nell’occhio. Una “cosa” come la mia moto parcheggiata vicino a Monte Corvo la noterebbero tutti. Questa invece passerà del tutto innosservata.»

Su quest’ultima affermazione non potevo che concordare. La Uno aveva avuto un successo enorme in valle e ne giravano a decine. Moltissime inoltre avevano quell’orrida tonalità bordò che andava di gran moda.

Comunque parcheggiammo abbastanza lontani dal monte e caminammo per una buona mezzora attraverso i boschi prima di ritrovarci alle sue pendici. Zack aveva preso lo zaino ma mi aveva fatto lasciare il mio. A tracolla portava quello strumento che aveva con sé il giorno prima e ne consultava i piccolo display molto spesso. Era un computer di sua creazione che serviva ad indicare le coordinate in cui ci trovavamo. Zack mi disse che usava un satellite. Purtroppo le sei batterie “torcia” che lo alimentavano avevano una durata molto limitata, economizzando al massimo riuscimmo però a circoscrivere una piccola zona.

Non era molto lontana dal luogo del ritrovamento delle biciclette, una minuscola radura circondate da alberi. Sicuramente era già stata perlustrata dalle squadre di ricerca. Ma noi sapevamo cosa cercare.

Mi avvicinai a Zack.

«In teoria il “passaggio” dovrebbe essere abbastanza grande.» dissi «Cioè, stiamo cercando qualcosa che li deve aver inghiottiti tutti assieme. Se qualcuno di loro fosse rimasto fuori avrebbe dato l’allarme non trovi?»

Lui era serio e concentrato.

«Ipotesi ragionevole ma non è possibile che il passaggio sia così grande» rispose «secondo i miei calcoli dovrebbe avere un diametro di cinquanta centimetri, al massimo.»

«Ma allora come possono esserci finiti tutti?» chiesi.

La risposta di Zack fu lapidaria:

«Evidentemente qualcuno li ha costretti ad entrare.»

Calò il silenzio, ci dividemmo e cominciammo a perlustrare la zona. Dopo trenta minuti buoni Zack mi chiamò.

«Lassù c’è qualcosa!» disse.

Eravamo sotto ad un vecchio pino, agguzzando la vista notammo una corda arrotolata ed appoggiata ad uno dei rami. Era una vecchia fune di pelle ed era veramente difficile notarla. Mi chiesi come avesse fatto il mio amico.

«Bisogna calarla» disse lui «Così avremmo un raggio ove cercare.»

«Salgo io!» mi offrii e, prima che Zack potesse replicare, afferrai saldamente la corteccia del tronco del grosso albero.

Piantai il piede ed iniziai la scalata ma, all’improvviso, la mia gamba sprofondò nel tronco. Non “assorbita”, come era successo all’orologio sparito, lo ruppi semplicemente.

Sceso a terra mi misi al lavoro assieme a Zack e spostammo i tre grossi pezzi di corteccia posticci alla base dell’albero. Dietro di essi il grosso pino era stato parzialmente scavato a mò di “invito” per un foro di circa 40 cm di diametro che si apriva nel terreno.

«Questo non ha senso!» disse Zack.

Estrasse una lunga corda da alpinismo dallo zaino, la legò attorno al tronco e la fece scendere nel foro. Non si vedeva il fondo. Lui prese una torcia e si sfilò il giubbotto. Notai allora che portava un grosso orologio digitale. Aveva due “sensori” rotondi sotto il display e quattro pulsanti per lato.

«Vado a dare un’occhiata!» mi disse, poi si calò nel buco.

Passarono venti eterni minuti ma poi la faccia di Zack, piena di terra, ricomparve.

«Beh, questa la devi vedere!» esclamò.

Con il suo aiuto mi calai nel foro, cercai di non fargli vedere che ero terrorizzato ma non so se ci riuscii. La sensazione era claustrofobica ma era, appunto, solo una sensazione. Il foro infatti si era allargato dopo il primo metro e, di fatto scendevo agevolmente. Dopo un po’ toccai un suolo solido. Zack era lì e la sua torcia elettrica proiettava uno stretto fascio di luce (allora montavano comuni lampadine e non led). La struttura sembrava una baracca sotterranea, fatta di assi e vecchie porte. Strana, per la verità, ma nulla di soprannaturale.

«Sembra una specie di “rifugio segreto”» dissi.

«Ed è quello che devono aver pensato i tuoi amici» rispose Zack «per questo devono esser scesi tutti insieme.»

Lo guardai, cercando di coglierne l’espressione nonostante il buio. Lui se ne accorse e puntò la torcia sul pavimento. In effetti qualcosa non andava, sembrava uno strato di cemento, sorprendentemente liscio (lo tastai con la mano) e, sotto la luce elettrica, emetteva riflessi verdastri. Stonava tantissimo con l’aspetto artigianale del resto.

«È fatto con l’oricalco» disse il mio amico.

«Vuoi dire che…»

«Voglio dire» continuò Zack «che siamo sulla Torre. Abbiamo attraversato il varco nel tunnel. Ma qualcuno ha costruito questa roba.»

Quasi con rabbia sferrò un calcio ad una delle pareti. Questa rimbombò a vuoto senza cedere. Non c’era terra dietro di essa.

Cercammo per buoni dieci minuti ed, alla fine, identificammo una piccola porticina alla base di una delle pareti. Ma non cedeva: era sprangata sull’altro lato.

«Quindi la fuori c’è qualcuno.» disse Zack a bassa voce. «Comunque così non otterremo nulla, ci servono atrezzi. Forza usciamo!».

Ci issammo fuori dal tronco, aiutati dalla corda.

«Hai qualcosa in macchina?» chiesi.

«No!» rispose «Ma dovremmo trovare qualcosa poco lontano, se non mi ricordo male.»

Lo disse con uno strano sorriso ed io pensai a cosa mai avremmo potuto recuperare in mezzo ai boschi. Delle pietre e dei bastoni al massimo.

Nel frattempo Zack aveva estratto dalla tasca del giubbotto uno strano oggetto: una piccola sfera di un materiale simile al bronzo. Era larga circa tre centimetri ed interamente percorsa da strani geroglifici. Lui la fissò per quasi un minuto e poi si avviò deciso verso il limitare del bosco.

«Seguimi!» mi disse.

Arrivammo ad una piccola parete rocciosa, lui consultò ancora una volta la sfera e vi appoggiò una mano. Si frugò ancora in tasca ed estrasse un altro oggetto curioso. era un cilindro fatto dello stesso materiale della sfera, lungo e sottile somigliava ad una pila AA. Anch’esso era coperto da singolari decorazioni. Zack lo appoggiò alla superficie ed esso, senza sforzo apparente, vi penetrò per un buon centimetro. Contemporaneamente anche la sua mano sprofondò nella roccia, come se fosse diventata incorporea.

«Oggi è il giorno delle sorprese vero?» mi chiese. Poi aggiunse: «Forza vieni!» e passò attraverso la parete.

Io ero sbigottito, presi un profondo respiro e lo seguii. Non mi accorsi di nulla, fu una frazione di secondo.

«Benvenuto nella Piramide!» disse Zack.

Dovetti trattenermi. Avevo retto nel vedere sparire mani ed orologi, la relativa “normalità” del rifugio che nascondeva la Torre non mi aveva impressionato tantissimo.

Ma ora ero in un tempio egizio. E stavo per svenire.