Episodio 3: Videogiochi

Non rividi subito Zack.

Le giornate passavano lente e, diciamocelo, noiose. Sebbene la sorveglianza modello STASI della nonna si fosse lievemente allentata non mi sentivo molto stimolato ad andare a giocare da solo. I luoghi che mi ricordavano Giuliano continuavo ad evitarli.
È difficile, ora, spiegare bene cosa provavo. Più che tristezza direi che era un vago senso di timore. La sensazione che un “qualcosa” potesse portare via pure me.
Inoltre la madre del mio amico, in preda ad un terrificante esaurimento nervoso, non contribuiva certo a rendere allegro e vivace il quartiere.
Il timore, che mi rodeva dentro, mi faceva sentire il bisogno di tenere la mente occupata. Leggevo tonnellate di fumetti. Soprattutto “Topolino” e “L’Uomo Ragno” (editrice Corno) che la nonna non mi faceva mai mancare. Inoltre il papà ogni domenica mi comperava “Noi Supereroi” con i tarocchi degli anime giapponesi disegnati (male) in Italia.
L’apice della “drogga” però lo ottenni grazie ai miei meriti scolastici. Visto che i miei voti erano buoni i genitori mi regalarono un ambito videogioco. Si trattava di uno scatolotto lcd sulla falsariga dei “Game & Watch” Nintendo, ma questo stava al top della categoria. Era infatti un prodotto Q&Q. Ad oggi questa marca è misconosciuta ed, a onor di cronaca, ha pure poco valore collezionistico, ma allora era quasi mitizzata. I suoi titoli, infatti, avevano la caratteristica di cambiare il gameplay col procedere del gioco. In quello in mio possesso un allegro cavernicolo doveva in primis procurarsi il fuoco per cucinare la cena poi, nel secondo livello, si improvvisava addirittura cacciatore.
Un bel giorno mi stavo avviando a piedi alla casa di nonna quando vidi “il mio uomo” intento a telefonare da una cabina.
Sempre impeccabilmente pettinato, sempre col giubbotto nero e gli occhiali Ray Ban. Aveva sostituito i pantaloni gialli con un paio di jeans consunti ed aderenti. Notai anche una discreta pila di gettoni appoggiata sull’apparecchio. Ok, era la preistoria delle comunicazioni, i telefoni pubblici funzionavano a gettoni, cominciavano timidamente a comparire alcuni modelli a monete, sempre nel caratteristico grigio di mamma Sip.
Mi sarei quasi sicuramente imbambolato, tanto quel personaggio misterioso mi affascinava, ma un repentino cambio di vento mi portò alle narici l’odore di urina che, a sua volta, mi ricordò qual’era l’uso che io facevo della cabina. Quasi pensai che il ragazzo potesse identificarmi come il colpevole della penosa situazione olfattiva in cui si trovava, cosa che in effetti ero, e quindi ripresi in fretta la strada, a testa bassa.
La curiosità però la vinse: salutata in fretta la nonna tornai sui miei passi e mi sistemai sulla panchina davanti a casa dell’uomo del mistero. La moto era parcheggiata nel vialetto, di conseguenza immaginai che fosse ancora impegnato col telefono. Estrassi da tasca il videogioco ed iniziai una nuova partita. Arrivai al terzo livello.
Il Cavernicolo tornò ad occuparsi del fuoco ma nuovi e terribili dinosauri si aggiunsero alle minacce. Il gioco mi prese talmente tanto che mi estraneai dal mondo. In uno dei rari battiti di ciglia notai un’ombra sopra di me. Era lui, la sua testa era china ad osservare il dispaly:
«Fico il giochino!» mi disse.
Per un attimo rimasi ammutolito, fu fatale per il povero cavernicolo.
«Cazzo ti ho fatto perdere!» disse con enfasi quasi esagerata, ma sembrava sincero. Mi si sedette al fianco dondolandosi sulle mani.
«Non importa…» mentii spudoratamente.
Lui mi guardò attraverso gli occhiali:
«Io mi chiamo Zack, tu devi essere l’amico del ragazzino scomparso vero? L’altro giorno ho conosciuto quella poveretta di sua madre…»
La domanda a bruciapelo su Giuliano mi fece l’effetto di una doccia gelata.
«Già, una brutta storia.» risposi; ma dovetti metterci più tristezza di quello che avrei creduto.
«Mi dispiace veramente. » disse in tono sincero.
«Senti» aggiunse «in casa ho dei videogiochi proprio tosti, inoltre ho il pomeriggio libero, ti va di vederli?»
Avevo già la bavetta alla bocca ma, mentre stavo per rispondere, sentimmo l’urlo da visigoto di mia nonna che mi richiamava in casa.
«Cavolo, sei controllato a vista!» rise Zack.
Sconsolato mi avviai e, dopo essermi sentito una buona mezzora di predica sul fatto di non dare confidenza agli sconosciuti (soprattutto a quel teppista drogato con la moto) venni spedito in paese per comprare una lampadina. La lotta di mia nonna col suo vetusto impianto elettrico si protraeva da tempi immemorabili.
Quando passai davanti a casa di Zack lui non si vedeva.
Tornai dopo una mezzora, la porta era aperta, ma non ero preparato a quello che vidi quando entrai. Zack stava inginocchiato armeggiando con un cacciavite su una presa di corrente. Aveva gli occhiali sulla fronte, i suoi occhi erano stranissimi, di un azzurro chiarissimo con delle pupille molto grandi. Gli davano un aspetto molto dolce che stonava parecchio. Ma la cosa più incredibile era mia nonna che lo guardava con aria adorante.
«Ecco signora!» disse rialzandosi e sistemandosi gli occhiali «Il contatto è sistemato ed ora dovrebbe funzionare tutto!»
«La ringrazio signor Zack, non doveva disturbarsi comunque.»
«Macché disturbo signora! Anzi grazie a lei, avevo proprio finito lo zucchero e le confesso che mi scocciava davvero scendere di nuovo in paese. Lei capisce: traffico, gente… E mi scusi ancora per lo spavento.»
«Ma si figuri signor Zack! Solo che quando mi è apparso davanti all’improvviso… Sa, gli occhiali…»
«Maleducazione imperdonabile signora. Ma purtroppo ha visto che soffro di un disturbo alla vista che mi obbliga a portarli il più possibile. »
«È un peccato mi creda, con quegli occhi bellissimi che si ritrova.»
«Lei mi fa arrossire signora.»
Zack, mi notò.
«Ed ecco il nostro vagabondo!» disse allegro.
«Oh, caro.» mi apostrofò la nonna «Non servon più le lampadine. Il signor Zack ha aggiustato tutto!»
Ok, dire che ero confuso non renderebbe l’idea. Ma non ebbi il tempo di adattarmi, il mio nuovo amico prese la palla al balzo:
«Si sta facendo tardi.» disse osservando il cielo «Signora mi permette di “rubarle” il nipote per un’oretta? Mi potrebbe aiutare in cucina.»
«Ma questa è un’ottima idea signor Zack!» rispose la nonna. E poi, rivolta a me:
«Vai caro, ma ricordati di essere a casa per le sette.»
Non mi rimase che seguire Zack, sempre troppo sbigottito per parlare. Come varcai la soglia di casa sua lui mi sorrise, appoggiando il bicchiere di zucchero su un tavolino. Mi indicò un tavolo lungo e stretto che correva lungo la parete su cui spiccavano due televisori. Ad uno di essi era collegato un home computer ed all’altro una “cosa” bianca e rossa.
«Parlavamo di videogichi prima, vero?» disse, sempre sorridendo.
Credo di essere stato uno dei primi italiani a vedere un Family Computer della Nintendo. L’originale giapponese del futuro NES.
Da quel giorno i miei rapporti con Zack si fecero frequenti. Lui non era sempre presente, mi spiegò che lavorava per una ditta di telecomunicazioni e doveva girare parecchio. Anche la sua arrampicata che avevo osservato, mi disse, serviva a vagliare la conformazione della roccia per installarvi un eventuale ripetitore.
Però se aveva un pomeriggio libero lo passavamo insieme. Zack mi disse che il Famicom era un modello da testare che doveva, poi, relazionare per una casa americana interessata alla sua commercializzazione. Fu un po’ deluso dal fatto che, all’inizio, giochi come Final Fantasy e Dragon Quest non mi avessero preso. Poi capì che i ragazzini italiani come me tendevano a non saper leggere gli ideogrammi giapponesi. Lui però il giapponese lo leggeva senza problemi (la cosa mi stupì tantissimo) e, con il suo aiuto, cominciai apprezzare i giochi di ruolo elettronici.
Anche la situazione del quartiere si era ulteriormente normalizzata tanto che, in una giornata in cui Zack non era presente, decisi di spingermi fino ad Arborea. Avevo bisogno di “esorcizzare” la mia paura e la mancanza di Giuliano.
Me ne stavo quindi a cavalcioni di un ramo, osservando il nostro ex luogo di gioco quando vidi qualcosa che brillava nell’erba lì vicino. Scesi a controllare. Era un orologio a quarzo della Casio. Un modello super accessoriato con persino la calcolatrice. Marco ne aveva uno identico. Sembrava penzolare da un paletto infisso nel terreno scosceso. Allungai la mano per prenderlo e… le mie dita gli passarono attraverso.
Lo attraversarono come se fosse un orologio fantasma e la cosa mi procurò una leggera scossa. Sorpreso ritrassi la mano e mi accasciai sul terreno. Il cronografo era sparito.
In quel momento qualcosa sbucò rotolando da un cespuglio lì vicino. Zack si rialzò da terra, mi era caduto proprio davanti. Mi afferrò per le spalle quasi spiritato e mi chiese, praticamente urlando:
«Hai visto qualcosa vero?»